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giovedì 3 gennaio 2013

Il bravissimo fornaio: lussekatter

Arieccomi.

"Bravissimo fornaio... E che, ti sei montato la testa?". Sì. No, a dire il vero. Sul serio, ero ironico... :)
Il punto è che frugando nelle centinaia di post scritti in questi anni, non riesco a trovare niente sulle lussekatter... Ma possibile? Solo qualche piccolo accenno, nulla di più. Bisogna correre ai ripari, subito!

Per i pochi che ancora non lo sanno, le lussekatter sono il tipico dolcetto di Santa Lucia in Svezia e Norvegia. Mi pare dunque più che logico tirarle fuori il 3 gennaio. Volevo aspettare primavera, per essere completamente fuori tema, ma non ho resistito.

Sapete già tutto della festa di Santa Lucia nei paesi nordici, no? Masssìììì, daaaiii....!!!
La santa siracusana, patrona della stessa Siracusa, martirizzata sotto Diocleziano, la cui festa si celebra il 13 dicembre, che in varie zone d'Italia è deputata (o meglio era, prima dell'arrivo della coca cola e del conseguente Babbo Natale) a portare regali ai bimbi, soprattutto nel Nord Italia... Avete presente, vero?

Ecco, gli svedesi hanno strapazzato il tutto, fatto un  mescolone allucinante di religiosità, tradizione e paganesimo e creato una versione loro, che ha ben poco a che vedere con quello che si conosce in Italia. Ci sarebbe da raccontare a lungo, ma si finirebbe fuori tema ancor più del solito.
Per riassumere il tutto basta prendere:

1) una santa a cui hanno cavato gli occhi,
2) il giorno più buio dell'anno,
3) una serissima processione pagana, più un trenino a dire il vero, con Lucia capotreno che cammina a mani giunte e con in testa una corona di candele accese e a seguire un drappello di personaggi improbabili: gnomi, tizi con cappelli a punta, a volte omini di panpepato, uno o più re magi e a volte Santo Stefano. Tutti con in mano una candela accesa. Il drappello canta, Lucia sta rigorosamente in silenzio. Detta così sembra una cosa goliardica, in realtà è tutto serissimo. Non chiedetemi perché, né chiedetelo agli svedesi, non lo sanno nemmeno loro.
4) la canzone "Santa Lucia" ("sul mare luccicaaa... l'astro d'argentooo...") che invece di raccontare di un barcaiolo napoletano che dal mare guarda il rione di Santa Lucia nella "traduzione" svedese celebra quanto sia bella la Santa che porta la luce.
5) glögg, vin brulé locale.
6) delle buone pastarelle dolci con zafferano e uvetta, chiamate lussekatter.

Ora, tralasciando i dettagli, appare ben chiaro come sia pesante il buio invernale in Svezia, e come sia preziosa invece la luce e necessario festeggiarla in tutti i modi possibili.

Il bravissimo fornaio, però, si disinteressa di tutto ciò e si concentra sul punto 6. Le paste.
Le Lussekatter (katt= gatto) o Lussebullar (bulle = pasta) hanno in realtà un'origine piuttosto inquietante: in passato erano chiamate "i gatti del diavolo". Arrivano dalla Germania, dove se ne ha traccia sin dal 1600. Secondo alcune versioni della storia, persino la componente "Lussi" del nome sarebbe un richiamo a Lucifero più che allo zafferano.
La tradizione racconta che mentre il diavolo sottoforma di gatto picchiava i bambini cattivi, Gesù bambino offriva ai bimbi buoni questi dolci.
A un certo punto pare che qualcuno abbia associato l'etimologia di "Lucifero" e "Lucia" (c'e' di mezzo sempre la luce) e le lussekatter sono diventate parte del carrozzone di cui si è parlato poc'anzi.

Possono essere di varie forme, ma la più tipica è quella a "S" rovesciata, e hanno due chicchi di uvetta in corrispondenza dei riccioli della lettera (gli occhi della santa, secondo alcuni).

In Svezia quasi ogni famiglia ha la sua ricetta, diversa soprattutto nelle modalità di preparazione. Eccone una dal sito recepten.se e una da uno dei più diffusi produttori di farine e affini, Kungsörnen (entrambe in svedese).

Passato il 13 dicembre, non si parla più di lussekatter per un anno intero. Ma qui subentro io, e nella mia personale tradizione dei cavoli a merenda e del panettone a Pasqua, ieri mi ci sono cimentato... Ecco un po' di foto. Gli ho dato la forma di una "S" normale, non rovesciata, e avrebbero dovuto essere molto più arricciate. Per questo motivo, anche se erano molto buone, non sono il bravissimo fornaio citato nel titolo che, a questo punto, non esiste.


Stesura dell'impasto lievitato. Notare il giallo zafferano... :)

Composizione delle lussekatter, dalla forma come detto sbagliata

Seconda lievitazione, nella teglia

Cottura, velocissima.
Risultato finale. Buone.


giovedì 2 agosto 2012

Ricetta: i QPQR (Quasi Passatelli Quasi Romagnoli)

E  proseguiamo con gli esperimenti culinari, questa volta attingendo a piene mani dalle ricette della tradizione italiana.
Come già presentato nel titolo, li abbiamo chiamati QPQR (Quasi Passatelli Quasi Romagnoli). Non ci azzardiamo a definirli Passatelli Romagnoli, ne deve passare di acqua sotto i ponti prima... Diciamo che siamo arrivati alla versione beta, al prototipo, insomma.
Anche se devo ammettere che il risultato finale non si è rivelato poi male, lo sforzo impiegato per giungere a tale traguardo si è rivelato sproporzionato rispetto alla presunta facilità della ricetta.
Come dice mia mamma, "Bisogna farci la mano".  Ma sono queste poche parole che fanno tutta la differenza.

Forse, però, parto da un assunto errato. Lo sapete tutti cosa sono i passatelli? No? Beh, si tratta di un tipo di pasta per cui non si usa farina, ma che è realizzata a partire da pangrattato e formaggio, con una caratteristica forma a "vermicello". È pasta fatta a mano, fresca, che tradizionalmente viene cotta e servita in brodo.
Oltre che negli ingredienti di base, la particolarità sta nella maniera in cui questi "vermetti" vengono realizzati. Come succede per altri tipi di pasta, si ottengono tramite "spremitura" dell'impasto attraverso una superficie forata. Oggigiorno è frequente produrli tramite robot da cucina o addirittura schiacciando l'impasto con un semplice passapatate, ma la tradizione romagnola si distingue dalle altre versioni dello stesso prodotto per l'utilizzo del "ferro", un apposito e strano strumento che ogni romagnolo che si rispetti (almeno fino alla mia generazione, poi non so) ha sempre visto usare in casa.
Come viene descritto da giallozafferano, si tratta di "un disco di metallo leggermente bombato del diametro di circa 15-20 cm, dotato di fori di circa 4-5 mm di diametro, che possiede un manubrio con due impugnature laterali".


Eccolo qua:




Questo strumento di tortura è la disperazione di tanti, principalmente perché a) non sanno come usarlo, b) gli è stato spiegato o hanno visto come si usa, ma non riescono a farlo loro stessi.

Della categoria a) fanno parte tanti e anche illustri personaggi. Indimenticabili le performance involontariamente esilaranti di Antonella Clerici e della (si suppone) più esperta Anna Moroni a "La prova del cuoco", dove il ferro per i passatelli è stato protagonista per un anno intero, durante il quale "le cuoche" non sono mai riuscite a usarlo. Alla fine è stato necessario lanciare un appello al pubblico da casa. Nella categoria b) sono a tratti finito anch'io due sere fa, quando a momenti di strepitoso successo alternavo attimi di sconforto. Devo dire che operavo su una superficie instabile, avevo un tagliere molto liscio dove la pasta non faceva presa ed era la mia prima volta assoluta, basata sui pur recenti ricordi e le vaghe impressioni che l'angolo del mio occhio aveva subliminalmente catturato mentre, parlando d'altro, mia madre li preparava. Inoltre, bisogna farci la mano.

Negli ultimi anni è sempre più frequente vederli proposti non in brodo, ma in versioni "asciutte": da quelle più invernali con ad esempio formaggio di fossa o funghi, a quelle estive con verdure, pomodorini, o gamberetti e zucchine. Possono essere anche serviti freddi, a mo' di insalata di pasta.


Noi ci abbiamo provato, come avete già capito, partendo subito a testa bassa, usando il ferro ("così, duri sulla fascia! cattivi!"), come quasi più nessuno fa. Giusi ha preparato un impasto perfetto, eccezionale per consistenza e sapore. Ha però mollato il colpo alla realizzazione finale, cedendo la resa incondizionata delle armi (beh, "dell'arma"). Sono rimasto a combattere io, impuntandomi testardamente fino a quando non sono riuscito a ottenere qualcosa.
Anche perché altrimenti rimanevamo senza cena.
Non serve a nulla schiacciare l'impasto dall'alto. Bisogna fare scorrere il ferro sul tagliere, schiacciando sì, ma mentre si trascina l'impasto. La forma bombata del ferro fa sì che si possa variare l'angolazione dello stesso mentre si trascina, ottenendo passatelli più lunghi...
Insomma un casino.
E bisogna farci la mano.

Ecco il nostro risultato. Ci sono un po' troppi passatelli venuti così così e parecchi sono un po' corti, ma come prima volta forse forse forse può andare.




 Abbiamo deciso di farli asciutti, con un sugo di pomodorini e rucola e mozzarella aggiunte a fine cottura.






RICETTA per due persone:

-3/4 uova
-pangrattato e parmigiano grattugiato (più o meno metà e metà), quanto ce ne va
-un po' di scorza di limone grattugiato

Fine.  
Non scherzo, è vero.
La quantità di pane e formaggio non può essere misurata esattamente. Ce ne va cioè quanto "ne prendono" le uova. In altre parole una quantità tale da ottenere un impasto simile per consistenza a quello delle tagliatelle. Partite con un pugno di uno e uno dell'altro, a fontana, metteteci dentro le uova, impastate e poi aggiungete formaggio e grana fino al raggiungimento della consistenza indicata.

Preparate del brodo e versatevi i passatelli, si cuociono velocemente e salgono a galla. Se li volete fare nella versione "pastasciutta", tirateli su con un colino e conditeli col sugo desiderato.

E davvero, scherzi a parte, ci sono venuti proprio buoni, sia come sapore che come consistenza. Lì per lì avevamo pensato però di fare passare un po' di tempo prima di rifarli. Troppa fatica. 
Ma ora ci stiamo già ripensando.... La prossima volta verrano ancora meglio... Ohi, bisogna farci la mano. E ce la faremo.




EDIT: la resa sta migliorando, così come l'uso del 'ferro'. Se la pasta non fa presa sul tagliere, basta aggiungere un pochino d'acqua per aumentarne la viscosità e il gioco è fatto.
Vi lascio con questa foto:


Direi che ci stiamo facendo la mano, no? ;)

sabato 3 aprile 2010

Buona Pasqua


Buona Pasqua.

Nei centri commerciali, i colori invernali verde scuro, blu, viola e marrone hanno di botto ceduto il passo al rosa, al pistacchio, ma soprattutto al mare di giallo che annuncia ufficialmente l'arrivo della Pasqua e conseguentemente della primavera. Sia in Svezia che in Italia, il mercato globalizzato ha riempito gli scaffali di conigli di peluche, galline di legno e batuffolosi e brillanti pulcini.
Ma come tutti gli anni, il grande protagonista di questa Pasqua è sempre lui: l'uovo.


L'alimento forse più semplice, completo e perfetto vive in questi giorni il suo periodo di gloria.
La tradizione cristiana innestatasi su quelle precedenti persiana (relativa al Nawruz, di cui si è già parlato) e pagana ne fa uno dei suoi simboli. Nel mio paese natio, dove ora mi trovo, è ancora molto in uso, la mattina di Pasqua, fare tarda colazione con un tipico pane all'uovo e all'anice (pagnotta di Pasqua, prodotta esclusivamente in questo periodo), qualche fettina di salame nostrano (che in Romagna non manca mai) e soprattutto con l'uovo sodo, dipinto il giorno prima e alimento principe. L'uovo DEVE essere benedetto e una volta consumato il guscio non deve essere buttato, ma bruciato.


E poi l'uovo di cioccolato. Beh, questa è tutta un'altra storia, e per quanto in vari siti web venga considerata come una moderna tradizione in tutta l'Europa occidentale, durante i miei numerosi viaggi non mi è mai capitato di vedere questa tradizione così forte come in Italia.
In particolare se ai miei colleghi svedesi si parla di uova di cioccolato loro credono ci si riferisca ai famosi ovetti kinder.


L'uovo, meglio ancora se uovone, con la carta argentata, plastificata e frusciante, nello scontro eterno "fondente" contro "al latte", con dentro la sua sorpresa (che sia il giochino di plastica, che sia il regalo "grandi firme" o quello artigianalmente inserito dal premuroso partner la notte prima) è sconosciuto in terra nordica.

Quello che invece si trova ovunque e si regala è un uovo di cartone. Se ne possono trovare di tutte le dimensioni, colori e fantasie, e sono ovunque. Sono apribili e vengono regalati pieni di dolcetti vari: confetti colorati, caramelle gommose (che per il ruolo che rivestono nella società svedese meriterebbero un post a parte), micro-ovettini di cioccolato (quelli sì, ci sono).
Insomma, l'uovo di cartone coi dolcetti è immancabile.


In realtà le tradizioni pasquali non sono limitate all'uovo. Si potrebbe parlare ad esempio delle piume colorate da spargere in giro o da attaccare in cima a un ramo e mettere in un vaso in casa, o in giardino, o di altro ancora, magari lo farò in futuro.

Per questa volta ho deciso di non adeguarmi all'uso svedese, e ho già sullo scaffale pronto per domattina un bell'uovo Bauli dimensione medio-grande che mi aspetta, tutto per me. Cioccolato al latte, quest'anno. ;)


Auguri,

D