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giovedì 1 marzo 2018

La mia piccola biblioteca 3

Andiamo avanti, perchè no. Il tempo per leggere semplicemente non esiste più, si è sbriciolato, per cui prevedo che queste raccolte di recensioni saranno sempre meno frequenti. Ma mi diverto, per cui, come si diceva, andiamo avanti, sempre nel segno della più totale variabilità e incoerenza di stili e autori che già avevano caratterizzato la prima e la seconda raccolta di recensioni Ho anche notato che sto dilungandomi sempre di più nelle recensioni stesse. Conoscendomi, era prevedibile. Vuole dire che ci ho preso gusto. Che cosa offre la casa oggi?



Intervista col vampiro, di Anne Rice (trad. di M.Bignardi, 1a ed. 1977, formato Kindle): Sono da sempre un appassionato di letteratura fantastica (e non solo letteratura) e tra tutte le figure che la popolano quelle dei vampiri sono tra le mie favorite. Adoro tutto dei vampiri. Sono cintura nera di vampirismo (e infatti quello pseudodramma stile Cioè/Harmony di Twilight lo evito finché posso).

Per questo motivo non vedevo l'ora di leggere questo libro, popolarissimo, addirittura un caso letterario ai tempi della mia adolescenza (che arrivò pure al cinema, con il blockbuster di Neil Jordan nutrito di un cast stellare che includeva Tom Cruise e Brad Pitt) e a detta dei più il migliore della serie di Ann Rice, che sui vampiri ci ha poi costruito una carriera.
Forse le aspettative erano troppo alte, fatto sta che ne sono rimasto deluso. Ma tanto. La Rice scrive molto bene, intendiamoci, tecnicamente benissimo. Con mestiere sfoggia una prosa simil-ottocentesca, in linea sia col personaggio del vampiro narratore, sia con i romanzi che hanno fatto la storia del genere. Questa maniera di narrare però trascina con sè molti dei propri limiti, risultando a volte (spesso, molto spesso) ridondante e priva di ritmo. Le atmosfere decadenti che la scrittrice evoca continuamente e pesantemente, risultano esasperate, fastidiose e noiose, senza nemmeno la scusante di essere prodotte in un momento storico in cui erano in linea coi gusti dei lettori. Certo, il gioco stilistico è certamente originale per i tempi moderni, ma ora non funziona più e dopo poco, pochissimo, stanca. Molti romanzi tardo-ottocenteschi sanno anche essere affascinati e hanno ancora oggi una loro maniera di coinvolgere il lettore. Forse perchè non del tutto spontaneo, ma giocoforza risultato di un processo di creatività studiato, questo invece non ce la fa.


Altro punto importante, che si interseca a doppio filo con il gioco di atmosfere e scrittura: un libro del genere è ovvio che sia permeato di violenza, è quello che i lettori si aspettano e che il genere richiede. Nulla di male, al contrario. Garantisco che io non sono assolutamente refrattario o insofferente alla stessa (da vecchio cultore di film splatter estremi, ad esempio. e non aggiungo altro..), eppure a lunghi tratti la violenza in questo libro è di troppo, ma semplicemente perché "sbagliata", "malata"... Non porta con sé quella sorta di eccitazione, brutta o bella che sia, che è il motivo per cui agli amanti del genere risulta accattivante e li intrattiene, avviluppandoli nella lettura. Non so se in maniera voluta o meno, ma la scrittrice costruisce situazioni violente  e pseudo-orrorifiche (ma nemmeno troppo, ho letto ben di peggio) che risultano semplicemente tristi e amare, che causano malessere interiore, tristezza, senza assolutamente emozionare o coinvolgere.


In ultimo, la maniera stessa in cui è il libro è costruito, e cioè l'intervista che non è un intervista ma un monologo fiume, dà la stura a lunghi momenti di instrospezione estrema e continua, ripetuta e asfissiante, aggravata come detto dalla prosa pesante e decadente. Quando la micronarrazione di un episodio potenzialmente coinvolgente raggiunge il suo apice, ecco che lì si interrompe per sviscerare i sentimenti del suo narratore, dilungandosi in maniera asfissiante, rovinando così il climax costruito.

Il libro non è tutto così, ovviamente. Qua e là, in maniera maggiore con lo scorrere delle pagine, un po' si riprende, e vi si trovano sparsi momenti anche notevoli, serrati, brillanti e molto piacevoli da leggere. Peccato, veramente peccato, che ne vengano soffocati da tutto il resto. Non lo affosso totalmente, qualche emozione e qualche bella pagina me l'ha regalata, ma cavolo che faticata!




Uomini e no, di Elio Vittorini (1a ed. 1946, letto in una vecchia copia della collezione Oscar Mondadori di mio padre di cui sono gelosissimo): uno dei libri più celebrati sul periodo della seconda guerra mondiale e sulla resistenza scritto uno degli autori più celebrati della letteratura italiana. L'ho preso in mano dopo aver visto una trasmissione televisiva su Rai 5 che ne parlava. In questa trasmissione, nonostante uno scrittore avesse portato argomenti a sua difesa, i vari intervistati lo hanno pesantemente affossato, giustificandone la fama con la felice scelta del momento in cui è uscito (subito dopo la fine della guerra) e la "sponsorizzazione" politica. E a me, da bravo bastian contrario, è venuta subito voglia di leggerlo.

Devo dire che dopo le prime (poche) pagine, mi sono chiesto perché lo avessi fatto, visto che vi ritrovavo tutti gli aspetti negativi dei quali ero stato avvisato e sui quali concordavo in pieno. La prosa risulta artificiosa, probabilmente furba, che strizza l'occhio alle letterature in quegli anni in fermento degli altri paesi ma senza possederne l'originalità, e che sembra voler stupire a tutti costi. In questo senso il ruolo di innovatore della letteratura italiana di Vittorini ne viene notevolmente sminuito. Un libro che si propone con intenti quasi documentaristici ma che d'altro canto risulta poco limpido (verosimile, ma non vero) nella sua scrittura. Con voli pindarici, di immaginazione e di stile, forzatamente astratti e difficili da seguire, flashback confusi e irreali. Con risultati ben al di sotto dei supposti intenti.

Eppure...

Eppure sono contento di essere andato avanti nella lettura. Se la sperimentazione non gli viene così bene, beh, c'è la storia. E la storia è tosta, semplice e bella. Sì, la vicenda d'amore che fa sottofondo alla guerra è un cliché dei più ovvi e banali, finto e hollywoodiano anche per l'epoca, e nei momenti in cui è di questa che si parla, è proprio lì che le descrizioni e i commenti diventano forzosi, i dialoghi così irrealmente pseudopoetici da sfiorare, varie volte, il ridicolo. Ma la storia rimane potente. I personaggi sono forti e maliconici, sanno che  la vittoria è alle porte ma sono tristi per tutto quello che hanno subito e stanno subendo. E non si fermano, continuano a distruggere, a morire e a far morire. Gli orrori sono vivi, e descritti in maniera lucida ma leggera, a colori vivaci e intensi ma rispettosamente. È chiaro che quelle più che descrizioni, sono testimonianze, fotografie mentali. E forse le pagine degli strampalati dialoghi d'amore servono anche a contraltare e contrastare la forza della brutalità di quei giorni, in un tentativo di ricerca di equilibro (non che questo le giustifichi, visto il risultato, ma le può spiegare).

Inoltre, un paio di pagine in particolare delle riflessioni di Vittorini sono potenti, laceranti, e applicabili facilmente anche ai giorni nostri. E tramite il personaggio meno sospettabile di tutti, un cane, la domanda esplode in tutta la sua ferocia ed ci si accorge che é l'unica cosa che conta, che ha sempre contato, lo spunto che dà il titolo al libro: Che cos'è un uomo? Che cosa non lo è? Fino a che punto possiamo decidere di esserlo?

Se si è in grado di andarne al cuore, semplicemente, ignorando gli orpelli e gli artifizi, un libro che può pure non entusiasmare, ma che di sicuro lascia il segno.




Il tempo dei maghi (Rinascimento e modernità) di Paolo Rossi, (1a ed. 2006, formato Kindle): Ci si può avvicinare a un libro per i motivi più disparati. Questa volta per me la ragione è stata  particolare. Ho iniziato a leggere questo bel tomo di 379 pagine semplicemente perchè irresistibilmente attratto dal titolo, nulla più. Non sapendo tra l'altro (data la mia ignoranza in materia) che l'autore fosse uno dei più importanti storici e filosofi della scienza contemporanei. Durante la lettura me ne sono reso conto abbastanza presto, a dire il vero. Il testo ripercorre criticamente la storia che ha portato alla nascita della scienza e del pensiero scientifico, alla formazione dell'accezione che diamo oggi al termine. Il suo distacco graduale, per nulla semplice e scontato, dalla magia naturale e dall'alchimia. Rossi ne descrive gli antefatti, a partire dai tempi remoti dei pensatori ermetici e neoplatonici e si sofferma a lungo analizzando il cuore di questo processo, localizzandone i momenti chiave, descrivendone evoluzioni e involuzioni nel Rinascimento sino a metà '600, per concludere illustrandone il lascito all' età moderna. Un bel ripassone di quanto poco e malamente studiato al liceo (ma, devo dire, grazie alla mia iniziativa personale in maniera un po' più seria anche in un esame facoltativo universitario), con notevoli approfondimenti e elaborazioni interessanti. In aggiunta, ed è la caratteristica di questo testo che un curiosone come me non poteva non apprezzare, è presente nel libro una notevole aneddotistica a corredo delle lezioni, che si rivela preziosa e intrigante, e che mi ha aperto un sacco di caselline con punti di domanda nella mente impreparata, dandomi vari spunti per divagazioni di studio e addirittura qualche ideuzza di scrittura. A un' ora di lettura ne veniva quasi sempre affiancata un'altra di ricerche in rete.
(Una per tutte: che Newton fosse un appassionato studioso di alchimia, tanto da descrivere i suoi lavori nel campo della fisica come distrazioni da quello che considerava il suo impegno principale, non lo ricordavo proprio, se mai l'ho saputo. E così via.)
L'obiettivo è sempre quello di di evidenziare quel lento e contrastato cambio di paradigma che ha sancito la fine della "magia" come scienza reale e che ha portato al consolidarsi del pensiero scientifico moderno.

Rossi illustra efficacemente le sue idee, da insegnante e accademico, con citazioni dotte e sempre opportune, con la confidenza evidente dello studioso affermato (questo è uno dei suoi ultimi testi pubblicati).

Si realizza subito come l'autore, approfittando probabilmente della posizione raggiunta e della veneranda età, non esiti a togliersi più di un sassolino accademico dalla scarpa, facendo elegantemente a pezzi alcuni suoi colleghi. Questa cosa a dire il vero non dovrebbe costituire ragione di plauso, ma lavorando in ambito accademico non ho potuto che gustarmelo divertito.

In particolare Rossi se la prende con Giordano Bruno. Cioè, non proprio con lui ovviamente, ma con la lettura che vari altri studiosi del filosofo fanno del suo pensiero, sovrastimandone, secondo Rossi, i meriti in termini di rivoluzionario e innovatore della mentalità scientifica. La figura di Bruno, cui Rossi dedica una sostanziosa porzione del libro, ne esce notevolmente ridimensionata in questo senso. Io non sono un esperto, né uno studioso della materia, e le mie conoscenze nell'ambito sono quelle di base, per cui gli è stato probabilmente molto facile convincermi, ma l'autore porta argomenti validi a sostegno della propria teoria, supportati da citazioni e testi originali difficilmente contestabili.

Al contrario, viene data rilevanza al contributo alla creazione del concetto moderno di scienza dato da altri pensatori, Francis Bacon in primis, nonché illustrata l'inaspettata influenza che personaggi minori hanno avuto nella rottura di dogmi consolidati, come Francesco Patrizi che con le sue critiche all'immobilità del pensiero copernicano, è stato tra i prima a liberare il campo all'avvento della nuova concezione del sistema solare di Keplero.

Insomma un libro che mi sono goduto, che mi ha coinvolto in riflessioni appassionate, nonostante lo abbia letto in un'estate fisicamente faticosa, riflessioni per me (non avvezzo a questo tipo di ragionamenti) più che sufficientemente impegnative.

Una lettura valida sia per chi è appassionato di scienza e vuole aggiungere una dimensione diversa alla propria conoscenza rispetto al consueto bagaglio tecnico, sia per chi la storia della filosofia la padroneggia meglio, ma vuole approfondirne l'evoluzione specifica in ambito scientifico.



Il colore della magia e La luce fantastica di Terry Pratchett, (trad. di N. Callori, 1 ed. 1989 e 1991, Kindle). E vabbé. Qui si sfonda una porta aperta. Parlo dei due libri insieme perché li ho divorati uno di seguito all'altro, e visto che il secondo riparte nel punto esatto in cui il primo si era concluso, io li ho vissuti come un unico librone. I primi due libri del Ciclo di Scuotivento, un caposaldo del mondo fantastico creato dall'autore-culto Terry Pratchett. Ho girato attorno a Pratchett per anni, senza mai cogliere l'occasione per leggerlo, anzi per qualche strana coincidenza la sua enorme e celeberrima creazione letteraria mi era pressoché totalmente ignota: non mi erano arrivate recensioni, informazioni, nulla perché ne fossi incuriosito, in tutti questi anni. Poi è capitato, ho afferrato il nome che mi passava sotto il naso e ho cominciato.

Per i pochissimi che come me ne ignoravano le caratteristiche, i romanzi dell'universo creato da Pratchett sono esilaranti storie di stampo fantasy, dove l'autore, giocando con i cliché del genere, sovvertendoli e spesso ridicolizzandoli, dà sfoggio di un incredibile fantasia, e spiazzando continuamente il lettore lo trascina con sé, appassionandolo alle avventure dei suoi eroi.

I personaggi dei suoi romanzi sono legati tra loro, e spesso quella che è una figura di secondo piano in una storia, che appare brevemente e come poco più di una comparsa, diventa l'eroe di un altro libro, dove è la sua di storia sulla quale l'autore si concentra. Pratchett non è l'unico ad aver usato questa tecnica, ma è l'unico (a quanto ne so) ad averci costruito un intero universo narrativo, sparso per decine di libri, storie brevi e racconti.
Qui si segue il mago Scuotivento, dalla leggendaria inettitudine, sballottato da un'avventura all'altra contro la propria volontà, eppure fortunatissimo nel cavarsela sempre , per il grande cruccio di Morte, che non riesce a catturarlo. Un perdente nato, con caratteristiche diametralmente opposte all'eroe, ma che è al tempo stesso distante anni luce dall'antieroe hollywoodiano e maledetto. Scuotivento vuole semplicemente tornarsene a casa, e fuggire a gambe levate quando c'è pericolo in vista, ma non ci riesce. Gliene capitano di tutti i colori, finisce in situaizoni di estremo pericolo, ma si salva, sempre, per un pelo. E seguendo lui incontriamo una serie soprendente di personaggi, uno più bizzarro e strampalato dell'altro, che scorrazzano su e giù per un mondo ancora più strano e incredibile. Il sogno dei terrapiattisti, un pianeta bidimensionale, Mondodisco, appunto, un piatto che se ne sta appoggiato sul dorso di quattro elefanti, che a loro volta sono appoggiati sul guscio di una gigantesca tartaruga che vola placidamente per lo spazio buio.



Pratchett gioca, scherza, non si prende sul serio, e per questo motivo può fare quello che gli pare, sovvertire non solo le regole del genere ma anche e soprattutto quelle della scrittura. Lo fa abilmente, tenendosi l'attenzione del lettore, che accetta di essere sballottato qua e là, abbandonato e poi ripreso,  catapultato nel tempo, lasciato nel nulla senza informazioni, proprio come i personaggi delle sue storie. Al tempo stesso però, come tutti i bravi umoristi, lancia più di un messaggio sociologico (questo aspetto della sua narrativa mi dicono verrà sempre più rafforzato nei libri seguenti). Una nota sulla traduzione, che appare non molto curata, con sviste evidenti e scelte questionabili (leggo su internet che i fan dello scrittore la detestano). Il fatto che il primo  romanzo fosse stato pubblicato per la prima volta nella collana Urania di Mondadori, che sfornava a catena fantascienza da consumo, potrebbe forse esserne la spiegazione.

Insomma, mi sono divertito, e o deciso di andare a fondo e leggere tutti i libri della saga del mondo disco. Quanti sono? Appena 41.

mercoledì 2 marzo 2016

La mia piccola biblioteca 2

Ma perché no..!
Questa cosa di pubblicare un breve commento sui libri che leggo è iniziata un giorno in cui non avevo niente da fare, ed ero divertito dalla schizofrenia delle mie letture. E ora ho realizzato che mi piace, molto, che mi rimanga una traccia dei libri che leggo e degli stati d'animo che mi hanno provocato. Nella marea delle cose lette, alla fine dimentico, faccio confusione, insomma un disastro. Per cui dare un po' di ordine non può far altro che bene. Il vecchio riassuntino che ci chiedeva la maestra alle elementari, magari con uno sforzino critico, come ci chiedeva sperenzosa la professoressa delle medie.
Sì, tutto bello, ma che necessità c'è di mettere questa cosa su internet, e divulgarla al mondo? Nessuna, ovviamente.

Perciò, ecco qui un altra minilista di libri letti nelle ultime settimane:





Il weekend, di Peter Cameron (trad. GH. Oneto, Adelphi, 2013. Ebook)
Lettura partita da un consiglio di un caro amico, nonchè profondo conoscitore della letteratura contemporanea, settore dove io sono tristemente poco informato.
Una storia intima, a cavallo tra un amore perduto e uno potenziale, dalle emozioni delicate e intense al tempo stesso e con una vena di profonda malinconia che lo permea completamente. Che si tratti di un amore omosessuale è volutamente e felicemente irrilevante. Scritto molto bene, con continui spostamenti di visuale, attraverso brevi ma puntuali accorgimenti tecnici che rendono il passaggio sorprendente e catturano il lettore. Bello. Non il mio genere preferito in questo momento, ma una lettura comunque molto apprezzata.



La posizione della missionaria. Teoria e pratica di madre Teresa, di Christopher Hitchens, (Trad. Eva Kampmann, Minimum Fax 1997, ebook). 
Ok questo è un libro tosto. Scritto da un dissacratore puro. Senza peli sulla lingua  e senza mezze misure. Hitchens era un noto saggista (e polemista), dichiaratamente ateo e avverso a ogni religione. Per cui le sue opinioni risultano forzatamente di parte, per quanto provi qui a mantenersi su toni neutri (riuscendoci peraltro nell'approccio e nell'impostazione, forse meno nei commenti). Ma, nonostante questo, rimane un saggio giornalistico molto ben documentato, che rivela un personaggio ben diverso della dolce anziana suorina oggi sul punto di essere dichiarata santa. Quello che ne viene fuori è un ritratto sconvolgente e difficilmente smentibile, di una integralista dura e inflessibile con i poveri, accomodante e permissiva con i ricchi, senza distinzioni (tra i suoi benefattori sanguinari dittatori, conclamati truffatori, ecc..). Che usa senza alcun controllo i fondi destinati ad ospedali per costruire conventi, che arriva a negare gli antidolorifici ai malati perchè "la sofferenza avvicina a Dio". Questo e molto, molto altro, attraverso sia le testimonianze di chi le è stato vicino, sia le dichiarazioni di madre Teresa stessa. Un libro che mi attendevo sì critico, ma molto più leggero e ironico, e che si è rivelato un cazzotto nello stomaco.



Godetevi la corsa, di Irvine Welsh, (Trad. M. Bocchiola, Guanda 2015, ebook)
Un altro ebook: sì, è il periodo degli ebook. Uno come me, che giurava non si sarebbe mai piegato alla svolta tecnologica, amante della carta, delle pagine, ha dovuto arrendersi all'estrema comodità del mezzo. Poi adoro sottolinerare e prendere annotazioni, e così mi viene ancora meglio.
Conoscevo Irvine Welsh solo per essere l'autore del celeberrimo Trainspotting, del quale comunque ho visto solo il film. Leggendo questo suo ultimo lavoro non è difficile riconoscerne lo stile narrativo, del quale il film è evidentemente permeato. In più ci si fa l'idea (non so quanto indovinata) che l'autore sia una fucina inarrestabile di parole e storie, che i personaggi prendano vita propria e si scatenino a combinarne più che possano lungo le pagine. E' un tomo poderoso, 440 pagine, diviso in macro sezioni da eventi chiave che determinano svolte nette nelle atmosfere narrative. Una cavalcata inarrestabile dai toni dapprima comici, beceri, poi grotteschi, poi sempre più drammatici. Situazioni allegre e spensierate che precipitano nella classica "spirale inarrestabile" di eventi arrivando ad assumere contorni al limite dell'orrorifico e dello sgradevole, per poi tornare con sollievo sui binari iniziali.
Un paio di protagonisti principali e qualche comprimario si dividono la narrazione in prima persona, ciascuno conservando il proprio linguaggio, fortemente caratterizzato. A questo proposito, un enorme plauso al traduttore, autore di uno sforzo eroico e fruttifero, dove lo slang (presumo) scozzese, perdippiù "inquinato" dalle caratteristiche di ciascun personaggio, viene reso efficacemente coniando nuovi termini, facendo largo uso di storpiature, troncature, nuovi significati, il tutto con una perizia tecnica e una fantasia ammirevoli.
Un libro che ha bisogno di essere cavalcato, come un'onda, dal quale è obbligatorio farsi condurre (e la prosa di Welsh aiuta moltissimo in questo). Che parte in quarta, forte dei propri eccessi (trascinati dall'ossessione per il sesso del protagonista), e perde poi abbrivio, arrivando alla stasi e quasi a toccare i limiti di pazienza del lettore, per poi ripartire saggiamente in una direzione diversa e inaspettata.
Una buona lettura, divertente, geniale e coinvolgente, ma che avrebbe potuto essere ben più riuscita con qualche decina di pagine in meno e una maggiore "messa a fuoco" della trama. Per quanto evidentemente accuratamente pianificato sul piano narrativo, sembra quasi che Welsh non riesca comunque a tenere a freno la penna e si faccia guidare un po' troppo dai suoi personaggi. Ma se così non fosse, sarebbe un altro libro, di un altro autore. E forse la forza e la vitalità dei suoi sgangherati personaggi e delle loro assurde vicende non sarebbero più le stesse.




Questa sera si recita a soggetto, di Luigi Pirandello, (da internet).
Nonostante l'opposizione della SIAE, i diritti d'autore sulle opere di Pirandello, sono (a quanto si trova su internet) oramai scaduti. Alla buon'ora. Potrei accalorarmi sulla faccenda, non lo faccio.
Comunque, questo testo teatrale di Pirandello mi mancava e l'ho reperito su internet. Punto. Non era nella lista delle mie priorità, e ci è finito per altri motivi. Ma è stato comunque un piacevole diversivo.
Pirandello rimane un genio, e lo si vede anche in questo testo che, per quanto noto, non è uno dei suoi lavori più conosciuti.
Il linguaggio è decisamente invecchiato, e alcune situazioni comiche non hanno proprio più il mordente che dovevano avere ottant'anni fa, ma due aspetti in particolare hanno comunque rinnovato la mia stima nell'autore siciliano: la gestione dei personaggi e della scena teatrale, che rimane fresca e originale come se provenisse da un teatro di decenni successivo, e la potenza dell'introspezione, che qui appare solo a tratti, volutamente e con l'intenzione secondaria di spiazzare lo spettatore.
Pirandello prende il pubblico, lo affabula, ci gioca un po', a tratti furbescamente e con mestiere, e poi sul finale ingrana la quarta, infilando due dei più intensi monologhi del teatro italiano, sapientemente riciclati (con cognizione di causa) da una sua novella. Chapeau.



Fisica quantistica per poeti, di Leon Lederman e Christopher Hill, (Trad. L. Civalleri, Bollati Boringhieri 2013).
E ora qualcosa di completamente diverso...
Leon Lederman, non è uno scrittore, e infatti il libro non lo ha scritto da solo, anche se è un libro di divulgazione scientifica. Ma Leon Lederman è un fisico, e che fisico! Premio Nobel  nel 1988 per le sue scoperte sui neutrini. Dopo il suo precedente libro di divulgazione scientifica, il famoso "La particella di Dio", con un buon humor, in maniera scorrevole ma estremamente precisa, ci racconta una delle più grandi rivoluzioni scientifiche della storia, quella della fisica quantistica. Un'area della scienza ostica per antonomasia ai non addetti ai lavori, perchè spesso controintuitiva, e perciò molto difficile da divulgare alle masse. Infatti non sono rari i momenti in cui la spiegazione diventa un po' confusa (forse una piccola parte di colpa è anche della traduzione? Quando il gioco si fa duro, un'estrema chiarezza del linguaggio è indispensabile...), anche perchè gli autori si addentrano con decisione nel cuore degli argomenti.
In ogni caso un libro la cui lettura richiede comunque una conoscenza scientifica di base, così che questi vengano dapprima rinfrescati e poi approfonditi. Come sempre in questo tipo di libri, una delle parti più gustose è quella dell'aneddotica legata alle scoperte e ai loro scopritori, altrimenti relegati al ruolo di semplici nomi di unità di misura, di costanti, di formule.
Insomma, Ledermen e Hill fanno del loro meglio e ci riescono abbastanza, visto l'argomento. Di certo una divulgazione appassionata.

giovedì 14 gennaio 2016

Libri per le vacanze.



Ve lo ricordate, a scuola, subito prima delle vacanze, quando la maestra ci dava la lista dei libri da leggere?
E tutti lì ad affannarsi, gli ultimi giorni, perché durante i bagordi vacanzieri si era sempre rimandato, e non si aveva mai trovato il tempo di leggere nulla di nulla.

Ora invece a me succede il contrario, come è logico che sia....
Le vacanze si rivelano il periodo ottimale per recuperare il tempo perduto.
Io mi ci diverto proprio. Ho ormai consolidato una modalità di lettura vacanziera alquanto atipica.

Premessa: da vari anni sto assaporando il piacere di comperare libri per la mia libreria (che sia a Stoccolma, che sia a Novafeltria), seguendo l'impeto e l'umore del momento, i rimpianti per il libri che avrei sempre voluto leggere, e anche le mode (perchè no). Spaziando indifferentemente tra librerie all'ultima moda, bancarelle dell'usato e internet.
Il piacere risiede non solo nell'acquisto, ma soprattutto nel momento in cui, finito un libro, mi reco alla libreria e faccio scorrere l'indice sulle coste colorate, fermandomi al titolo giusto per un nuovo libro da cominciare. Come un esperto di vino passa in rassegna le bottiglie della cantina, valutandone i possibili abbinamenti al pasto serale, soppesandone gli aspetti e le caratteristiche, e lasciandosi talvolta sorprendere da scelte azzardate, rischiose ma stimolanti, così io cerco di abbinare al cibo dei miei pensieri, alla tavola imbandita dagli eventi della giornata, i vini della letteratura, i mondi pensati e descritti da altri, per enfatizzarne o mitigarne i sapori, a seconda.
Questo succede di norma, ed è molto bello.

Durante le vacanze non è più così, cambia tutto. Alla libertà propria dei giorni di riposo corrisponde spesso la gioia della pura anarchia intellettiva, dell'affidare le proprie decisioni a un misto tra curiosità e caso.
E questo si rivela spesso l'atteggiamento giusto per sfoltire la pila di quei libri che non rientrano mai nella lista delle priorità, e giacciono seminascosti da tempo,

Questa volta mi sono proprio sbizzarrito.. ed eccone qui lo schizofrenico riassunto, in ordine di letture.



1)  Il tempo è un bastardo (Pulitzer per la narrativa 2011)) - Jennifer Egan. (trad. M. Colombo, Minimum Fax, 2012,  io l'ho letto in versione ebook.
Una serie di brevi racconti collegati uno all'altro, dove i personaggi minori, quelli appena accennati in una storia diventano protagonisti nella successiva. Le trame si sviluppano, si fondono, in uno scorrere non lineare del tempo, si viaggia nel passato, nel presente, fino al futuro prossimo, avanti e indietro. Sicuramente deve essere stato molto divertente scriverlo, non seguire uno schema (come la stessa autrice descrive), far sbocciare queste storie e accompagnarle con la propria fantasia. Avvalorando in questo senso tutta quella serie di autori che sostengono che non sono loro stessi a creare le storie, ma che queste sono lì, in attesa di essere scoperte.
Lo stratagemma narrativo del collegare i personaggi dei vari racconti l'uno all'altro non è così originale come si è voluto far pensare ai tempi dell'uscita del libro. Poco male, oggi non si inventa nulla... Il libro risulta gradevole, intrigante e mentalmente stimolante, certamente da consigliare.
Ho trovato un intervista in rete ralizzata dalla RAI in cui Jennifer Egan ne parla. Eccola qui




2) Codex, - Lev Grossman - (trad. A. Garavaglia, BUR, 2005 - io in versione Club degli Editori).
Un thriller storico-letterario leggero e piacevole, capace di tenere il lettore incollato fino alla fine, e che per questo fa bene il suo mestiere. Un manoscritto cinquecentesco scomparso, una misteriosa biblioteca antica in una soffitta nel cuore di New York. Lui, consulente bancario di successo, lei dottoranda in letteratura antica.
Eh, sì, ve l'ho detto che questa lista sarebbe risultata schizofrenica. Nulla a che vedere col libro precedente (e vedrete quelli dopo).
Qua siamo di fronte a un romanzo probabilmente uscito sulla scia del successo de "Il codice da Vinci" (che a me non è per niente piaciuto). Ma questo è molto meno artificiosamente complesso del libro di Dan Brown, più semplice ma più sincero e diretto, senza le furbizie e trucchetti dalle gambe corte del codice da Vinci. In sintesi, meno stupido (o meglio, che non prende alla stessa maniera il lettore malevolmente per i fondelli).
Tutta la trama ruota intorno a un'idea abbastanza valida, e si avvale dell'originale contributo di una storia parallela legata ad uno strano videogioco e che diventa fondamentale per la risoluzione dell'enigma.
Il ragazzo (Grossman ha la mia età, quindi perchè non chiamarlo ragazzo...? :) ) è bravino, sarebbe bello vederlo impegnato con qualcosa di più tosto..
... E a quanto pare ci avevo visto giusto, ho appena scoperto in rete che una sua saga di tre libri successiva a Codex e chiamata "Il mago", è appena stata trasposta in una serie tv che andrà in onda quest'anno e che già si preannuncia di successo.



3) Il pretore di Cuvio, di Piero Chiara, Arnoldo Mondadori 1973.
E qui ho una chicca, o almeno pensavo di averla.
Tanti anni fa, ad una fiera di paese, ho raccattato da uno dei famigerati cestoni "tutto a 2 euro" la prima edizione di questo romanzo. Conoscevo Chiara di nome, sapevo che era abbastanza famoso negli anni 70, ma non molto di più. Poi ho letto che questo libro all'epoca è stato un vero e proprio best seller, vendendo più di 130.000 copie. Ho qualcos' altro dello stesso autore in una delle librerie, ma non ricordo cosa.
Il pretore di Cuvio è rimasto nello scaffale di Novafeltria per molti anni, poi magicamente, come raccontato sopra, il dito ci si è posato sopra. Mi sono trovato di fronte ad un racconto di storie di paese,  con una prosa forbita ma divertente al tempo stesso, e che dipinge un bell'affresco di personaggi di provincia, a partire dall'originale, terribile e patetico protagonista, sino a tutti i comprimari. Veramente godibile. Sicuramente un contributo "diverso" alle mie letture natalizie, e uno degli stimoli a scrivere questo post.
Poi, proprio poco fa, cercando in rete l'immagine che ho incollato sopra, ho scoperto che ne è appena stato tratto un film! E nientemeno con Francesco Pannofino e la regia di Giulio Base.
Proprio l'anno scorso...! Magari in Italia è pure stato un film famoso, non so...
Ce lo vedo proprio Pannofino nel ruolo de "il Pretore" (titolo del film). Tuttavia, come spesso accade, il finale è stato cambiato rispetto al libro, a favore di una storia un pochino più complicata (ma serviva?) anche se meno originale, e a discapito di quello volutamente tronco e malinconico tracciato da Chiara (che bisogna riconoscere sarebbe stato di difficile resa sullo schermo, o perlomeno di poca presa sul pubblico cinematografico).
Strano, no? Immaginare quel libro abbandonato per tutti questi anni che viene ripescato per farci un film, 40 anni dopo la sua uscita, proprio poco prima che mi decidessi a leggerlo. E sono pressochè certo che non ho avuto nessun input subliminale legato all'uscita del film che mi spingesse in qualche maniera a leggerlo... e chi ne sapeva nulla?
Comunque, anche questa è stata una bella sorpresa. Sono contento.





4) Un mucchio di cadaveri, di Jean Patrick Manchette - (trad. L. Bernardi, Einaudi 2003). Un libro che si era letteramente perso in mezzo agli altri, essendo un tascabile di  piccole dimensioni circondato da spessi tomi rilegati. Non ricordo più perchè non lo avevo letto prima. So che molte volte ci sono andatoi vicino, e che qualche giorno fa, appena l'ho visto, mi ci sono fiondato. Spero non fosse un regalo di qualche amico, sai che figura!!! Beh, rimane la buona fede e il fatto che il libro mi è piaciuto.
Un eccellente noir che si rifà alla tradizione dei noir americani alla Chandler senza trascurare nulla, sparatorie, inseguimenti, ubriacature, donne fatali, con un tocco di ironia europea. Una pecca, la traduzione, a mio avviso non perfetta, tanto da notarsi alla lettura. Addirittura, ho trovato un grave errore di ortografia.
Comunque una storia carina, avvincente, e con un meccanismo narrativo che funziona a dovere.. Il lettore è costretto ad indagare in prima persona, così da giungere alle conclusioni assieme al protagonista, l'ex poliziotto Louis Tarpon.




5) Perchè scrivere - Zadie Smith  (minimum fax, 2011 - ebook) - Per una volta, cosa che non facevo da tempo, ho letto un saggio. Più precisamente la trascrizione di una conferenza.
Molto intelligente, scritta molto bene, un bel trattato sui motivi e le pulsioni dello scrivere, e le implicazioni che il demone della scrittura porta con sè. Puntuale, con ricche e alte citazioni, è anche abbastanza completo. Unica mancanza, l'analisi dell'aspetto più romantico dello scrivere (se vogliamo simile a quanto accennato sopra riguardo a Jennifer Egan), il puro piacere personale del raccontare storie, nel vedere come queste nascano e crescano, nell'osservare che cosa i personaggi dicano e come si comportino, quasi non siano frutto della nostra fantasia ma esseri realmente viventi di un'altra dimensione, osservabili da lontano. Quindi scrivere come raccontare al mondo la propria scoperta.
In ultima analisi, anche dietro questa motivazione ci sono i motivi efficacemente illustrati dalla Smith, e provocatoriamente condensati nella frase di  "Scrivo perché sono uno scrittore". E che altro dovrei fare?

Tutto qui.
Peccato non poter applicare la lettura semicasuale di libri anche ai periodi non vacanzieri. Ci ho provato, ma non ci riesco. La funzione terapeutico-rigenerante della letteratura in tempi di lavoro è troppo importante da essere trascurata. Anche se spesso si riduce a rileggere sonnecchiando con la palpebra calante sempre le stesse 3 pagine ogni sera...

Saluti

D

sabato 27 marzo 2010

bra litteratur ger barnet en plats i världen och världen en plats i barnet

© kitty crowther, alors?, pastel 2006

attraverso una letteratura di qualità i bambini trovano un posto nel mondo e il mondo trova un posto nei bambini... così diceva astrid lindgren.

e nel mondo letterario di kitty crowther, scrittrice e disegnatrice belga di padre inglese e madre svedese, hanno diritto di cittadinanza anche le creature più sole, gli esclusi, i diversi.

non è un caso, quindi, che la giuria del premio astrid lindgren abbia deciso di assegnare alla giovane autrice quello che può essere definito uno dei più importanti riconoscimenti nel campo della letteratura per l'infanzia (cinque milioni di corone svedesi, pari a circa 513 mila euro).

l'annuncio è stato dato in questi giorni a bologna, in occasione della fiera del libro per ragazzi, dove sono stata diverse volte. collaboravo come interprete con un piccolo editore americano indipendente, creative editions, e ricordo ancora con piacere i vari incontri di lavoro in cui tradussi uno schivo e gentilissimo roberto innocenti, tra i maggiori illustratori italiani (poco conosciuto in patria, a dire il vero, molto noto all'estero), che un paio di anni fa si è aggiudicato il premio hans christian andersen, altro importante riconoscimento scandinavo per i libri che si rivolgono ai più piccoli. negli scatoloni lasciati in italia c'è una copia autografata del suo splendido l'ultima spiaggia, che avevo regalato a davide.

ma ho divagato... si parlava di kitty crowther, circa 35 titoli all'attivo, di cui per ora uno solo tradotto in italiano (il mio amico jim, edizioni AER, bolzano, tradotto da vea alteri). per me che non la conoscevo è stata una bella scoperta. le immagini scovate in rete, tutte matita, pastelli e inchiostro di china, mi sono sembrate bellissime: semplici eppure ricche di emozione e atmosfera, espressive, empatiche.

una nota per contribuire al famoso blog di servizio che raramente riusciamo a portare avanti: per chi volesse conoscere meglio disegni e testi dell'autrice, il prossimo 8 aprile si terrà un incontro allo svenska barnboksinstitutet, in odengatan 61, a stoccolma.

mercoledì 13 maggio 2009

pippi calzelunghe, piccola grande cuoca

... se l'ultimo post di davide aveva, in via eccezionale, un titolo in svedese, il mio di adesso, dopo un silenzio di due mesi, ha un titolo in italiano.

e l'occasione è veramente ghiotta!

a novembre dello scorso anno ricevemmo un'e-mail da elisabetta tiveron, una blogger come noi, della stessa età di davide, con una predilezione per la storia sociale dell'entroterra veneziano e la passione per la cucina e le tradizioni culinarie considerate minori.

da qualche anno elisabetta si dedica con successo alla consulenza in ambito ecogastronomico e si è imbattuta nel nostro blog facendo ricerche sulla mia (e sua) amatissima pippi e sulle ricette del sud della svezia (temi di per sé sufficienti per attirare ipso facto il nostro interesse, come potrà immaginare chi ci conosce bene).

il risultato del suo impegno, di cui siamo felici di poter dare notizia nel nostro spazio, è appena stato pubblicato da il leone verde edizioni.

pippi calzelunghe, piccola grande cuoca è un percorso fra cibo e letteratura, entrambi nutrimenti per l'anima, e non potrà che spiccare fra le novità più stuzzicanti della fiera del libro di torino. "leggere è un gusto!"




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giovedì 13 marzo 2008

"Have you ever heard of a man called... Hercule Poirot?"

Se gli anni '80 sono stati, fra le altre cose, gli anni del Walkman, ora siamo agli anni del lettore mp3.
Una cosa che mi fa sorridere è vedere come la situazione si sia in qualche modo ribaltata. Negli anni '80 i più fanatici avevano degli scatolotti di walkman di medie dimensioni dotati di microcuffie, più piccole erano e meglio era. Ora (non so se vi sia mai capitato, ma qui è abbastanza frequente), si vedono ragazzini che girano con microscopici lettori e megacuffie imbottite da deejay.


Che sia iPod, cellulare (vera nuova mania) o lettore puro e semplice, ne siamo letteralmente invasi. In metropolitana praticamente ce l'hanno tutti quanti. Sarà capitato un po' a tutti almeno una volta di chiedersi che musica stia ascoltando la persona seduta di fronte. Un distinto signore in giacca e cravatta che si ascolta il reggae, un ragazzino vestito di cuoio e dai jeans laceri che si bea di Mariah Carey, e così via. E' vero che a volte il volume della musica è tale da non lasciare molto spazio all'immaginazione...

Di recente ho trovato anch'io il tempo di aggregarmi alla folla degli utenti di lettore mp3. Il mio è di marca anonima, comperato in un ipermercato due o tre anni fa a 20 euro, ma va benissimo. Solo che nel mio caso indovinare che cosa stia ascoltando è già più difficile.

Audiolibri.

La trovo una cosa entusiasmante. Il primo che ho ascoltato è "The Zombie Survival Guide: Complete Protection from the Living Dead" di Max Brooks. Molto carino, a tratti (pochi) un po' lento, ma a suo modo geniale. Se avete tempo, date un'occhiata anche al sito appena linkato, per essere il sito di un libro è fatto bene. E se invece volete più dettagli, chiedete a Stefano nei commenti, lui è il traduttore dell'edizione italiana!!! (Einaudi).


Da un po' di tempo sto ascoltando "Murder in Mesopotamia" di Agatha Christie. Non è un audiolibro nel senso vero e proprio del termine, ma uno sceneggiato della BBC radio, fatto mooolto bene, con suoni, effetti, musiche di sottofondo. Dopo un lungo prologo, la Lady di turno è stata uccisa. Proprio questa mattina, vista l'incapacità dei protagonisti di risolvere il mistero, il dottore ha chiesto al capitano:


"Have you ever heard of a man called... Hercule Poirot?"

E io ho sorriso.




Ok, sono solo cinque minuti al giorno, mentre si sale sull'autobus, si sobbalza in metropolitana o si cammina per un lungo viale, ma perché sprecarli guardando le scarpe del vicino?

E chi più ne ha più ne ascolti.

mercoledì 5 marzo 2008

Apology

Ecco, chiediamo scusa ai nostri lectores aficionados perché è da un bel po' di tempo che non postiamo più nulla.
Sarebbe troppo semplice spiegarlo col fatto che siamo oberati di lavoro, sarebbe.
Ma la verità è che siamo oberati di lavoro, ecco.
Forse, dico forse, per quanto riguarda la mia medesima persona stessa, le cose andranno un pochino migliorando verso la fine di questa settimana. Per cui se il tempo me lo permette (nel senso che se piove lo faccio, altrimenti vado fuori a mangiarmi un gelato), posterò un riassunto delle nostre mirabolanti avventure, vissute ai limiti dell'incredibile (oddio, starò esagerando?) nell'ultimo periodo.


Bella questa immagine, eh? Non c'entra niente.



Già che ci sono, ieri ho trovato in rete un brano preso da un libro di Mark Leyner che mi piacerebbe sottoporvi. Mark Leyner è un autore che mi va a genio (chi mi conosce, appena letto il testo capirà perché), di cui ho letto purtroppo solo un paio di libri. Questo, il suo libro d'esordio, si intitola "Mio cugino, il mio gastroenterologo" (trad. italiana di Dario Fonti, sono stato bravo, Giusi ?), e inizia in maniera folgorante.
Buona lettura.

ero un puntino infinitamente caldo e denso.
per evitare di schiacciare quei brandelli di pelle morta grigliati al sangue ero costretto a sterzare continuamente a destra e a sinistra, procedendo in uno zig-zag folle e incontrollato. guidavo come meglio mi permetteva il mio macinino coreano, ma la testa era altrove. erano giorni che non mangiavo. stavo letteralmente morendo di fame. improvvisamente, dopo la cima di una collina, un neon intermittente emerse dalla nebbia: PROSSIMA USCITA FOIE GRAS E HARICOTS VERTS. controllai sulla guida: cibo ottimo, ambiente antipatico. stavo abusando di un ormone estratto illegalmente da ghiandole pituitarie di cadaveri e mi sentivo annegare in un marciume escrementizio, ma la prospettiva di avere qualcosa di buono da ingollare mi tirò su. chiesi alla cameriera quale fosse la soup du jour e lei mi rispose zuppa primordiale: ammoniaca e metano mixati con acqua dell'oceano fulminata dal temporale. oh, prenderò una ciotola di quel brodo embrionale, le dissi, sentendomi subito meglio; ma non appena lei se ne andò, il mio buonumore finì per essere disintegrato dall'ambiente antipatico. i buttafuori stanno addosso a un gruppo di teppistelli che vogliono ubriacarsi; invece di controllarne i documenti, li sottopongono a un test al radiocarbonio per determinare la loro età. un fighetto della A&M a un tavolo vicino al mio chiede delle pastiglie antiulcera tritate sulle fettuccine e due camerieri untuosi se lo coccolano brandendo pepiere grosse come mazze. me ne torno in macchina a pettinarmi narcisisticamente la chioma corvina nello specchietto retrovisore e butto un occhio alla guida. c'è una locanda nella zona (si chiama riccioli d'oro) ed è frequentata da pastori. dopo una lunga giornata passata ad accudire le pecore, tosarle, suonare i corni per invocare le muse e conversare in egloghe è finalmente l'ora di una birretta e il riccioli d'oro straripa di arcadiani che hanno appena lasciato gregge e luce del sole per il fascino morboso e collettivo dell'amplesso sociale. tutti vorrebbero essere serviti da kikugoro. indossa un kimono in seta blu pallido e un caffetano broccato con crisantemi in oro e argento tra i cui petali si nasconde un piccolo ventilatore. il suo viso è truccato e incipriato per sembrare candida porcellana. un bovaro di oltreconfine ordina un biggo makko.


ma kikugoro lo rimprovera: "questo non è un makudonarudo". prende un lungo cilindro di arseniuro di gallio e ne taglia una fetta sottile che gli serve con salsa di soia, wasabi, zenzero sciroppato e daikon. "conduce gli elettroni dieci volte più veloce del silicio... è buono, mangia, gaucho-san, mangia" gli dice, inchinandosi.mia sorella è il bel giorno. oh, bel giorno, sorella mia, soffiami il naso, cullami in tessuti che sanno di fresco. mi nutro al capezzolo adamantino, succhio latte dal bel giorno e, per la prima volta dal 1956, faccio un ruttino in braccio al bel giorno. oh, bel giorno, lavami nel tuo lago limpido e azzurro. mi sono fatto un overdose di televisione, sono catalettico e cianotico, fammi rivivere nella tua doccia di gelida luce e fammi camminare nella tua antica piazza acciotolata. oh bel giorno, baciami. la tua bocca è come il columbus day. sei un mentolato profumo autunnale. i miei polmoni hanno sete di te. resuscitami, non sprecherò i tuoi gas tonici. gonfiami, ché io possa innalzarmi nei cieli e piangere la monotona topografia della mia vita. oh, bel giorno, sorella mia, soffiami il naso e avvolgimi nel tuo gaio splendore. andiamo a pranzare in un déor. i tuoi club sandwich sono imbottiti di fertile terriccio e vento olezzante di vecchi giornali. i tuoi stuzzicadenti stuzzicosi sono gli alberi caduchi dei giorni di scuola.


mercoledì 14 novembre 2007

pippi långstrump


indipendente e
anticonformista, allora come oggi.

è pippi calzelunghe, uno dei personaggi più amati dai bambini - e non solo - di tutto il mondo e sicuramente una delle creature più originali e alternative di astrid lindgren, che iniziò a scriverne le fantastiche storie quasi per caso, per la figlia piccola che si era ammalata.

oggi la svezia festeggia il centenario della nascita di astrid lindgren. ieri sera in tv hanno dato un bel documentario sulla vita della scrittrice e ne è emersa una figura dolce e tenace, schiva ma anche divertente, un'idealista, una donna con la battuta sempre pronta e amore e rispetto profondi per i bambini, una ragazza che aveva dovuto lasciare il paese in cui era nata, vimmerby, per sfuggire alla disapprovazione per la gravidanza fuori dal matrimonio.

oggi chi non ricorda la pippi forzuta che solleva il suo cavallo bianco a pallini neri? e la scimmietta, il signor nilsson? io adoravo pippi proprio perché era sempre in compagnia dei suoi animali. libera.

chi ama la lindgren e viene a stoccolma, non scordi di visitare a djurgården il parco di junibacken dedicato alla scrittrice. noi ci andremo presto.

merita di essere ricordata la sigla! qui la versione svedese dei primi episodi tv :-)))

villa villacolle, che in originale è villa villekulla, si trova a gotland nelle vicinanze di visby!!! e noi ci siamo passati davanti in macchina senza poterci fermare...

fra le sigle a disposizione, in youtube, quella in inglese. riconosco le mura di visby, che strano effetto fa!

lunedì 24 settembre 2007

djur

animali.
entrare in contatto con il mondo animale è una delle nostre formule contro il tedio, l'uggia, la malinconia.
ognuno dovrebbe avere la propria ricetta. e chiunque, a pensarci bene, si accorgerà di averne almeno una. godersi una tavoletta di cioccolata, correre per dieci chilometri di fila, disegnare, dipingere, ascoltare un concerto... una sorta di appello ai cinque sensi per liberare la mente. un divertimento, proprio nel senso di ciò che distoglie dai pensieri.
nel mio caso gli animali rappresentano un autentico mantra tattile, forse il più efficace fra i rimedi sperimentati.
invidio molto chi vive con cani e gatti, soprattutto per la capacità che gli animali hanno di sdrammatizzare le situazioni. un gatto che si accoccola sulla tastiera del tuo computer quando sei sommersa dal lavoro e un cane che ti appoggia sulla coscia il mento - magari anche un po' bavoso - mentre da seduta ti arrovelli per qualcosa di poco o grande conto hanno spesso il potere di strapparti un sorriso e rimettere le cose nella giusta prospettiva.
durante il fine settimana la nostra pet therapy si è svolta a skansen, dove sennò? avevamo già visitato il grande parco sull'isola di djurgården la scorsa primavera, al tempo della schiusa dei pulcini di oca facciabianca.
questa volta davide mi ha sorpresa portandomi a incontrare i lemur catta, che per me meritano la palma degli animali più buffi e simpatici. lo so, che ci fanno dei lemuri del madagascar in scandinavia? non si può neppure sostenere che gli zoo servano a scongiurare l'estinzione della specie, considerata in effetti vulnerabile, vale a dire ad alto rischio nel medio periodo. eppure questi animaletti pelosi, con la mascherina sugli occhi tondi e la lunga coda ad anelli, sembravano perfettamente a proprio agio e per nulla sofferenti per la perdita della libertà. al contrario erano socievoli e giocavano con i visitatori, rispettosi della regola che vieta di accarezzarli (è giusto... ma avrei tanto voluto farlo).



vai a capire, poi, cosa si dicevano i lemuri...
recentemente ho letto un saggio, che mi sento di consigliare a chiunque ami o voglia conoscere meglio gli animali, in cui si parlava fra mille altre cose del sistema di comunicazione o linguaggio - checché ne dica chomsky - degli animali. fra i tanti esempi che mi hanno colpita, ricordo in particolare quello dei cani della prateria studiati da un certo slobodchikoff. lo studioso ha scoperto che questi roditori, prede per eccellenza, sono in grado di informarsi l'un l'altro sul tipo di predatore in arrivo (veri e propri sostantivi per indicare l'uomo, il falco, il coyote, ecc.), sulla velocità di movimento del predatore stesso (verbi) nonché sulle sue caratteristiche (aggettivi).
qualcuno potrà dire che un linguaggio non può essere considerato tale se non può essere usato per riferirsi a cose - e quindi concetti - non presenti. ma come facciamo a essere sicuri che i cani della prateria - o i lemuri - non parlino del passato o facciano ipotesi sul futuro?
bah, in ogni modo, per concludere il discorso sulla nostra pet therapy, abbiamo fatto un giretto fra le fattorie del parco e non mi sono fatta mancare mezzora di carezze alle caprette, che certo non risentono dell'ambiente umano.
per me un tuffo nei tempi spensierati dell'infanzia. allora non avevo le capre, ma le mucche sì, e anche i conigli, le oche, una cavalla di nome stella...
per la cronaca, la gita a skansen si è conclusa con un incontro ravvicinato (tre metri al massimo) con una volpe rossa, selvatica lei... evidentemente la pappa pronta fa comodo a tutti.

giovedì 20 settembre 2007

torsdag

giovedì... o anche il giorno di thor!
e parlo sia del figlio di odino, personaggio tanto caro ai vichinghi, che per l'appunto si definivano il "popolo di thor", sia de il mitico thor, nato in casa marvel.
sì, dai, quello che con la sua incredibile forza faceva roteare un martello magico, il mjöllnir, per poi sfrecciare in aria come un razzo, violando il principio di conservazione della quantità di moto.
suona, anzi rimbomba proprio, come una strepitosa baggianata. e invece no.
ed è precisamente con il fragore di un tuono - o di una martellata? - che sarebbe bello acclamare il libro in grado di spiegare la plausibilità - dal punto di vista strettamente fisico - di un martello come mezzo di trasporto (gulp).
oddio, forse non è un caso che il martello sia un simbolo tanto diffuso in scandinavia...
thor e il pantheon norreno sono scomparsi in pasto al ragnarök, che non è un ripugnante mostro gambuto che si cela nelle profondità lacustri di queste zone (come invece io me lo immagino). la fisica dei supereroi, tradotta per einaudi dal nostro super-lilli, avrà tutt'altro destino!

p.s. per i traduttori o quelli matti come i traduttori: non mi stupisce che "giovedì" si dica torsdag in svedese, danese e norvegese. ma il finnico torstai non me lo aspettavo. mi chiedo se anche gli altri giorni della settimana si ispirino a qualche divinità... e perché mai gli islandesi si sono sognati di dire "quinto giorno" - come i portoghesi del resto, ma questo non c'entra - ignorando il culto di thor?

domenica 9 settembre 2007

mjölk och... drakar

visto che qualche giorno fa si parlava di saghe nordiche, ecco un altro spunto...

nella cultura occidentale i draghi sono creature malefiche, serpenti o lucertole giganti dall'alito velenoso che custodiscono tesori e divorano vergini... in asia, invece, sono simbolo di fortuna e saggezza. i draghi cinesi custodiscono una perla in cui risiede tutta la loro forza.

non ho copiato dalla celebre e fortunata anticiclopedia, tradotta dal nostro più assiduo commentatore (anche se una voce riguardo al ragnarök forse c'era).
la mia fonte è ben più autorevole: si tratta del cartone del latte svedese...



la prossima volta che andrò in biblioteca, prenderò in prestito bröderna lejonhjärta, tradotto in italiano con il titolo i fratelli cuordileone. la dragonessa di astrid lindgren sputava fuoco e si chiamava katlà! un bel presupposto per leggere il libro.

ehm, sarà poi un passo in avanti, dopo var är du, måne?