giovedì 19 agosto 2021

AFA




Oramai i post sul nostro antico blog sono veramente rilegati ad aneddoti e ricorrenze, e sempre più rari.

In questa occasione lo strumento mi torna utile, e lo uso invece dei social, perché il testo che volevo condividere ha una struttura grafica (così l'ho trovata) che mi piace rispettare e che altrimenti andrebbe perduta.

Si tratta di una poesia di quel personaggio incredibile che è stato Ernesto Regazzoni, giornalista, traduttore, ma soprattutto poeta (spesso divertente e stralunato) vissuto più di cent'anni fa. 

Mi è tornata in mente dopo il nostro ritorno in Svezia, una volta finite le vacanze, al sentire lamentele di amici e parenti in Italia nei confronti del caldo che li opprime e che io stesso ho sperimentato fino a pochi giorni or sono, e finalmente mi sono deciso a pubblicarla. Per cui con divertimento, solidarietà e una punta di invidia (visto il freddo che fa qui) vi presento:



       AFA

      

             Sogna.
             Fa tanto caldo,
         che l’alma non agogna

           più che sorbetti, e rive di smeraldo,
         e nenie di zampogna.
             Fa tanto caldo!
                   Sogna.

                    Credi
              tu alla Siberia,
            e ai ghiacci e ai Samoiedi,
          e a quell’altra leggenda poco seria
        degli orsi alti sei piedi?
             Tu, alla Siberia,
                   Credi?

                    Fole!
               Il polo stesso,
           in quest’ora di sole
            dev’essere sudato, e cotto allesso
          come l’umana prole.
              Il polo stesso!
                    Fole.

                    Pure,
            dietro il ventaglio
           le pupille sicure
       ponno sognare, lungi dal barbaglio.
           Dietro il ventaglio,
                    pure!

                   E l’alma
             anche si placa,
         e si abbandona calma
       a sé come un’almea, entro un’amaca,
        all’ombra di una palma.
              Anco si placa,
                   l’alma.

                    Nulla
            (o, nulla invero!)
          è più dolce, fanciulla
     di questa sonnolenza di pensiero
       che il tuo ventaglio culla.
            Oh, nulla invero.
                    Nulla.



 E chi più ne ha più ne sudi.

lunedì 25 marzo 2019

Lunedì





Ho chiesto al tizio del chiosco un caffettone da portar via e bere per strada, come usa qui. Me l'ha dato, e ho anche chiesto se per cortesia mi poteva dare due bustine di zucchero. Certo, ha risposto lui. Poi mi ha chiesto se volevo qualcos'altro, tipo un gratta e vinci. Ecco, a me queste cose scocciano.. Caso strano, per una volta ho pagato con contanti. Nel frattempo il tipo insisteva, magari un biglietto della lotteria. Allora, ammetto, ho alzato un po' la voce, ma non tanto. Il tipo ha fatto un movimento strano con le mani, spostando banconote e monete, e ho visto che mi aveva dato un resto inferiore a quello che mi spettava. Alla fine, senza restituire i soldi mancanti, ci ha aggiunto un pacchetto di caramelle, spiegando che me le aveva fatte la metà del loro costo.
Sono rimasto basito, gli ho quasi urlato di riprendersele indietro. Lui mi ha guardato fisso negli occhi e ha aggiunto serio, sempre calmo, che allora si riprendeva anche le bustine di zucchero. Non ci ho più visto. Gli ho restituito il caffè e ho chiesto di riavere i miei soldi. Lui mi ha detto che ormai il caffè l'aveva fatto, e che non c'era verso... Ale! Lì sono veramente scoppiato gli ho urlato in faccia, in dialetto (che non uso mai) "Te tsè n' imbezèl!". Il tipo mi ha intimato di uscire subito altrimenti avrebbe chiamato la polizia.
Oramai fuori da ogni controllo, sono uscito, ma non sono andato via, mi sono messo davanti alla porta, ho iniziato ad alta voce a scoraggiare dall' entrare ogni persona che si avvicinava.
Com'era prevedibile, dopo pochi minuti sono arrivati due poliziotti, e nulla, volevano che mi allontanassi, mentre io insistevo che quello era suolo pubblico. A un certo punto, visto che non mi calmavo, uno di loro ha ho iniziato a parlare per radio mentre l'altro mi ha preso per un gomito comunicandomi che mi avrebbero portato in caserma. Ho cercato di divincolarmi sbraitando.



A quel punto è suonata la sveglia, e mi sono svegliato, incazzato nero.
Buon lunedì a tutti.

lunedì 10 settembre 2018

Elezioni!

E rieccoci qua.

Di tanto in tanto rispolveriamo il nostro blog, ripromettendoci di farne un uso più continuativo.

Magari questa volta ce la faccio! (non ce la fa, non ce la fa..).


Quale migliore occasione dell’evento più atteso dell’anno (o quasi.. diciamo che se la giocava con il melodiefestival)? Sto ovviamente parlando delle Elezioni 2018.



Giusi e io (e i piccoli, vien da sé), qualche mese fa abbiamo ottenuto la cittadinanza svedese . Di conseguenza qualche settimana fa abbiamo anche ricevuto le schede elettorali per contribuire ad eleggere i rappresentanti di Comune, Contea e Parlamento. Nota: per Contea e Comune erano ammessi al voto anche non cittadini svedesi se cittadini di un paese UE residenti in Svezia da almeno 30 giorni, o se non-UE ma residenti in Svezia da almeno 3 anni.

Le votazioni si sono svolte durante un lungo lasso di tempo (vedi sotto), e si sono concluse ieri sera (domenica) nella giornata ufficiale del voto. Gli spogli sono già terminati e si conosce già la distribuzione finale dei seggi. Non voglio qui dibattere o commentare i risultati elettorali, in Italia ne stanno parlando un po' tutti i giornali (anche se in molti stanno dicendo un notevole porzione di stupidaggini) e non è un obiettivo che mi sono mai posto su questo blog (con l’eccezione di queste votazioni). Però mi pare interessante spiegare le modalità in cui le votazioni sono avvenute (che poi è come di solito avvengono in Svezia), anche perché credo siano abbastanza peculiari, per certi versi molto più semplici, per altri forse più complicate, di sicuro diverse da quelle a cui siamo abituati.

Come detto, abbiamo ricevuto a casa, per posta, la nostra cedola elettorale. Sulla stessa c’erano indicata la sezione e il seggio (e fin qui tutto più o meno uguale all’Italia) dove recarsi nella giornata di voto, per l’appunto ieri, il 9 settembre. Poi c’era indicata un’ altra località, che nel nostro caso era la biblioteca di quartiere, dove era possibile andare a votare ogni giorno lavorativo a partire dal 22 agosto. Questo in caso il 9 settembre si fosse stati impegnati (un evento sportivo, un té con le amiche, una giornata di meritato riposo dopo una settimana passata tra il lavoro e il rincorrere due bimbi piccoli, cose così..).

Noi però siamo andati all’ultimo momento, ieri, un paio d’ore prima che chiudessero, giusto per non smentirci. Davanti all’ingresso della scuola che ospitava il nostro seggio ci siamo subito trovati i rappresentanti dei diversi partiti che fornivano a chi lo volesse le schede del proprio partito da mettere nell'urna.

“Aspetta un attimo: i partiti all’ingresso? E ti davano le schede loro? Ma.. ma.. ma...”

Lo, so suona strano. Ma lasciatevi cullare dalla narrazione e questo mondo così vicino ma così diverso vi apparirà magicamente amico e chiaro.

 Appena entrati, siamo stati salutati da volontari nell’atrio della scuola che, tablet alla mano, aiutavano in caso di necessità. Ad esempio, se ti eri dimenticato la cedola elettorale e non ti ricordavi il tuo seggio te lo indicavano, così che potessi farti ristampare la tua cedola elettorale.

“Ristampare? La cedola? Ma, ma...”

Pazienza, ci vuole pazienza e apertura mentale e tutto tornerà a posto, giurin giurella.
Indi, nell'atrio, PRIMA di entrare nei seggi c’era un grande espositore. Il fulcro di tutto. Diviso in scompartimenti, conteneva dei fogliettini. In ciascun scompartimento c’era un mazzo di fogliettini di un partito diverso (che, sorpresa sorpresa, erano gli stessi che i tizi dei partiti ti davano fuori). L’elettore doveva prendere il foglio del partito che voleva votare in maniera da inserirlo poi nella busta della votazione all’interno della cabina elettorale.

“Ma.. ma..”

Sttt...! Aspetta!!!! E famme lavorà...
Visto che si votava per Comune, Contea e Parlamento i fogliettini erano presenti in tre colori, bianco, blu e giallo. Per ciascuno di questi colori ce ne erano: 1) con scritto il nome del partito e la lista dei candidati, così da barrare con una crocetta il proprio favorito, 2) con scritto solo il nome del partito in caso non si avesse intenzione di dare una preferenza, 3) senza scritto sù nulla, un fogliettino universale, diciamo, sul quale scrivere da soli il nome del partito una volta in cabina, in caso il foglio del proprio partito venisse per qualsiasi motivo a mancare nell’espositore, o che più semplicemente si fosse preferito fare così.

I citati foglietti, nelle loro varie declinazioni.
Ovviamente, visto che anche in Svezia il voto è segreto, e che lì all'espositore si era davanti a tutti e chiunque avrebbe potuto guardarti, si potevano prendere quanti foglietti si volevano, di più partiti, onde mescolare le carte a eventuali curiosoni con l'hobby del farsi gli affari degli altri. Tanto nella busta ce ne andava uno solo, e l’atto del votare veniva fatto nel segreto della cabina.

“Aaahhhh!!!”

Eh, l’avevo detto di aspettare! Comunque, devo dire che, complice il fatto che nessuno ti stava appiccicato quando eri all’espositore, nonchè la scomodità della manovra dissimulatrice succitata, in tanti si prendevano solo quello che gli serviva, e pace.

Poi siamo arrivati al seggio, un ragazzo ha controllato all’ingresso che avessimo la cedola giusta, ci ha dato le tre buste per votare, e ci ha fatti accomodare. Avevamo due piccoli problemi: 1) i bimbi, con Luca che si voleva gettare di fuori dal passeggino e Annika che rideva come una matta alla cosa, incoraggiandone così il gesto; 2) Giusi non aveva il documento di identità, visto che deve ancora richiederlo, né un altro documento svedese, essendo che sono solo 11 anni che siamo in Svezia. (n. di A.: ok, lo ammetto, non é vero. Il documento un tempo ce l'aveva, ma le è scaduto/lo ha perso/si è bruciato/è svanito un numero non troppo elevato di anni fa)
Sapevamo già come risolvere il 2). Per cui ci siamo avvicinati al tavolo della commissione elettorale e abbiamo fatto presente la cosa. Giusi si è offerta di mostrare il passaporto italiano, ma non serviva. Ho mostrato io la mia carta da identità, Giusi gli ha detto che facevo io da garante (credo, ancora non parlo l’idioma, essendo che sono solo 11 anni che siamo in Svezia), e a posto così. Non hanno trascritto nulla, non ho dovuto firmare nulla.

“Ma.. ma..”

E basta, suvvia! E insomma!  Ma dove siamo! L'ho detto, no? Ha tutto un senso, rilassatevi..la sentite questa dolce musichetta?
Poi lei si è recata verso una cabina libera (oddio.. cabina.. beh, ne parliamo dopo) e una scrutatrice si è rivolta a me mostrandomene un’altra, al che io ho ringraziato ma ho fatto presente la mia necessità di tornare dai bambini, indicando a tale scopo Luca che aveva scavalcato con una gamba il bordo del passeggino e stava spostando la testa e di conseguenza il baricentro verso il pavimento mentre Annika applaudiva. La tizia mi ha risposto con uno sguardo comprensivo ma anche incredulo. Ho scoperto poco dopo infatti che (non so se per consuetudine o per vero e proprio regolamento) la gente si portava i bimbi in cabina (oddio, cabina... vedi sotto, ho detto!) e li lasciava giocare e pasticciare con i foglietti avanzati, magari del partito avversario (hihihihi!!!).
Fatto sta che Giusi ha votato, ed è toccato a me. Sono andato alla cabina. Probabilmente c’è un termine più appropriato, che ora non mi viene... Insomma, eccole qua:

A me piacciono. Meno ingombranti e coprono solo quel che serve,  scoraggiando le cretinate compiute nel segreto della cabina dal demente di turno.
"Ma... ma... "
E allora! Ma andiamo! Serve davvero un bunker a proteggerci nel voto? Certo, il box è utile se ci si vuole scattare un selfie, o infilare una fetta di mortadella nella scheda, ma per il resto...

Dentro la cabina ho messo i tre foglietti che avevo preso nelle buste. Le buste non erano specifiche per votazione, ma avevano un forellino di lato, in una parte non scritta del foglio, in maniera che il colore della scheda, e quindi l'urna alla quale erano destinate si vedessero chiaramente. Molto pratico.

Questo signore sta votando per la Contea, vedi il colore blu nel tagliettino semicircolare al centro.

All'interno della cabina (va bene, se mi viene un nome più appropriato lo cambio!) c'era anche una normalissima penna a biro, per fare la croce sul candidato alla quale si voleva dare la preferenza, se la si voleva dare, o per scrivere il nome del partito nel caso si fosse scelto il fogliettino bianco.
Se si avevano dei problemi, si poteva chiamare uno della commissione per farsi aiutare. Oddio, questa l'ho letta sul giornale, non ho visto nessuno farlo. Insomma tutto molto semplice.
Io, per non sbagliare, ho fatto così:



Che burlone, eh? Ovviamente SCHERZO! Non era di certo questo il mio voto! Anzi, chi fa queste cose sul serio mi fa venire una rabbia...!!! Quello in foto è un foglio avanzato. Io ho preso un foglietto già stampato, del partito che avevo scelto, per ciascuna elezione e l'ho inserito come dovevo.
E le scrutatrici hanno detto che sono stato bravo. In realtà non l'hanno detto, ma mi hanno guardato come dire: "Bravo!". E io sono uscito fiero.

È o non è tutto chiaro? Ha o non ha tutto un senso? È solo apparentemente più incasinato per le nostre menti chiuse nelle loro consuetudini.
Inoltre in questa maniera immagino che gli spogli siano più veloci, è quasi tutto prestampato e quindi le schede da discutere sono in proporzione molte di meno. Sospetto anche (ma questa è una mia mera supposizione) che all'atto dello scrutinio non stiano lì a litigare ore se una piccola sbavatura invalidi la scheda o meno.

Una bella giornata. Il tempo si era un po' guastato, il sole se ne era andato, ma questo non ha impedito ad Annika di trovare amici nel parco giochi della scuola, e a Luca di cimentarsi in un suo personale approccio ludico-ginnico-combattivo ad una giostrina dello stesso. Cavandosela con una caduta e un paio di incornate nelle sbarre di ferro dell'attrezzo, tutto nella norma, insomma!

Dannata giostra, non mi avrai!
Ora passo di qui....

... e poi di qui...
Cavolo, mi sono incastrato!
Ehi, tu spilungone! Invece di fare le foto, aiutami ad uscire di qui, che ci voglio riprovare subito!


e chi più ne ha più ne voti.


venerdì 1 giugno 2018

Tanti auguri Mototopo!!!

Attenzione! Oggi il piccolo scapestrato, la motoretta inarrestabile, il simpatico scatenato, Luca, diventa 1!



AUGURI!!!






























mercoledì 7 marzo 2018

Il bravissimo fornaio colpisce ancora: biscotti di avena dello zio Davide.




Rieccomi. Sono io, sì, il bravissimo fornaio di questo blog sono io. Cos'è quella faccia? Ohi, non fate gli scettici, eh? Basta cercare il tag "cucina" e si trovano più o meno tutti i miei favolosi esperimenti. Credo.

Ritorno ora con una ricetta semplice semplice semplice, suggeritami dall'amico Davide, E qui sorge volutamente il dubbio se il nome "biscotti di avena dello zio Davide" si riferisca a me o a lui. Machiavellico, eh?
In ogni caso, si tratta di biscottini classici e molto diffusi qui al nord, semplicissimi da fare, e gustosi. La ricetta di Davide, che è poi quella che vi ripropongo, si può trovare sul sito di una delle più grandi catene di supermercati svedesi l'ICA, ed è questa qui.
Quindi, in pratica, mi approprio della ricetta del supermercato e la diffondo impunemente. Mefistofelico, eh?
Mi sento giustificato e in parte autorizzato dal fatto che la ricetta linkata è in svedese, e non tutti i lettori padroneggiano l'idioma.  Pilatesco, no?

L'unico problema di questi biscotti è che spariscono subito. Non so come mai. Ci sono, ti giri e ce ne sono un po' di meno. Ti giri di nuovo e non ci sono più. Probabilmente un problema di instabilità molecolare. Problema che si aggrava quando ci sono Giusi e Annika in stanza, chissà perché, mah.

Veniamo a noi. Pronti?
Si parte:

(disclaimer: tutte le foto di questo articolo sono pesantemente ritoccate con filtro estremo, visto che il mio cellulare fa delle foto da schifo)


Ingredienti
QUANTITÀ: 60 biscottini (poi dipende da quanto grandi li fate)

4 dl farina d'avena 
1 dl farina di soia
1 dl farina di riso
1 dl farina di mais
1 dl zucchero
1 pizzico di polvere di vaniglia
2 cucchiaini da té di baking powder (*= lievito istantaneo, vedi sotto)
2 cucchiaini da té di cardamomo in polvere (**)
150 g burro
1 uovo

(*) = qui si usa la baking powder, che dovrebbe corrispondere al nostro lievito "chimico", cioé quello istantaneo non dolcificato (che contiene bicarbonato, amido, cremor tartaro o simili). Per intenderci, quello per pizze. Credo in Italia si trovino anche i barattolini di "baking powder", ma dovrebbe essere la stessa cosa. 


(**) = al pari della vaniglia, serve per il sapore, ed è sostituibile con altri aromi a scelta. ma a quel punto è una ricetta diversa :)

Un po' degli ingredienti, tutti in foto non ci stavano.

Preparazione:

1) mescolate tutti gli ingredienti secchi in una terrina.


Tutti gli ingredienti secchi mescolati in una terrina

2) aggiungete il burro e l'uovo e amalgamate bene bene con forza di cento braccia. (O se avete l'impastatore, visto che va tanto di moda, fate a pezzetti il burro e lasciatelo ammorbidire, aggiungete l'uovo, la miscela di ingredienti secchi e bzzzzzz)


Felice impasto ben amalgamato.


3) Prendete una pallotta di impasto, e su una superficie liscia formate dei cilindri del diametro che più vi aggrada. Il diametro, come i più arguti avranno già intuito, sarà quello dei biscottini: la ricetta ufficiale li fa molto più larghi, io li faccio di 4 cm circa (non è che sto lì col calibro).
Visto che poi i cilindri andranno avvolti nella pellicola di plastica, per farli più lisci e regolari potete anche aiutarvi con la pellicola stessa.

Un cilindro liscio e regolare. Nella foto sembra scuro ma non lo è :) 

4) Sorpresa sorpresa, avvolgete i cilindri ottenuti nella pellicola di plastica.  Metteteli a riposare nel frigo per un'oretta almeno, finche si sono induriti bene (io li lascio 2 ore e sto tranquillo)


Cilindri induriti bene (e del colore giusto)

5) togliete la pellicola e affettate con un coltello ben affilato i cilindri in dischetti non troppo spessi

Dischetti affettati non troppo spessi

6) Disponeteli in una teglia, su carta da forno

Vè mò che carini... 
7) infornate con forno caldo a 175 gradi per 15 minuti circa.

Eccoli qua a cottura ultimata

8) Fateli raffreddare, metteteli in una scatola consona e carina e attendete che svanicano.

Foto colta al volo. Un attimo dopo non c'erano più.
Buon appetito.


martedì 6 marzo 2018

Risultati definitivi sul totale dei votanti!


Finalmente abbiamo i risultati!
L'esito della votazione (mi riferisco alla più importante chiamata alle urne dell'anno, vedi qui), come del resto anticipato dalle prime proiezioni, è sorprendente. E per quanto la tendenza di massa fosse prevista da vari analisti, l'entità numerica di vittorie e sconfitte è stata in gran parte una sorpresa. Ma come prima cosa lasciamo parlare i dati.




La cosa che salta subito agli occhi è la vittoria delle "Mapel Pecan" con un impressionante 18.8% ! Sapevamo della voglia di rinnovamento così diffusa nell'elettorato, e che le dolci promesse delle Mapel Pecan avessero forte presa sulla pancia della popolazione, potevamo addirittura prevedere il primo posto, ma non con un distacco simile da tutti gli inseguitori.
La frammentazione dei risultati è del resto evidente: Vanilijmunk, Wienerbröd, Croissant al cioccolato e Cuori di vaniglia seguono a pari merito al 12.5%. Con queste premesse sarà molto difficile formare una coalizione che raggiunga la maggioranza, o comunque una minoranza ma sufficiente per governare i gusti degli italiani in Svezia.

I vincitori


Come è noto, i Mapel Pecan non sono iscrivibili a nessun gruppo, né hanno mai preteso di esserlo. L'alleanza naturale tra Cuori di vaniglia e Vanilijmunk, che condividono un nucleo comune pur differendo nella superficie, raggiunge appena il 25%, e la cosa più grave è che andando anche a cercare una difficile integrazione con i Wienerbröd, che di crema alla vaniglia hanno solo uno strato sottile, si arriva al 37.5%, che ancora non basta.
Ogni speranza di accordo di gusti con gli altri candidati numericamente rilevanti è utopica, essendo questi tutti a base cioccolato (croissant al cioccolato e Cookie al cioccolato + altri).

Il fronte cioccolato del resto non è in grado di fare valere la sua rappresentatività, nonostante il successo (anche questo leggibile in chiave estremista) dei Cookie al cioccolato, che sui pezzettoni di dolce cacao hanno impostato gran parte della loro campagna, e si preparano ora ad una rumorosa opposizione.

Raggiungono percentuali minime le ciambelle, in parte pagando la scissione in ciambelle al cioccolato e ciambelle normali. Sì, probabilmente l'elettorato classico del gruppo ne è stato confuso, ma non è da escludere che questi storici rappresentanti del settore abbiano fatto il loro tempo (si veda l'azzeramento ai minimi termini dei blasonati croissant semplici).

Ma il dato più eclatante, e non previsto, è il crollo della Kanellbulle, che scendono addirittura al di sotto del 9%.!!! La brioche simbolo della nazione, quella che ha governato per anni, si trova ora nelle retrovie. Certo, sapevamo che non avrebbe potuto mirare ad un risultato altissimo, viste le già citate voglie di cieco rinnovamento a tutti i costi, ma l'entità di questa sconfitta è memorabile, e addiríttura trascina con sé le Toscanasäcka, considerate come il dolce più innovativo del settore "bulle".

I principali sconfitti


Insomma, lo scenario che si prospetta è quello dell'anarchia gastronomica, e ora addirittura c'é  preoccupazione per l'influsso che questo risultato potrebbe avere sul settore sandwich, e secondo alcuni, addirittura sul settore korv (hot dog, n.d.r).
Le dinamiche però sono ancora fluide, qualche speranza rimane ancora e si dovrà attendere per saperne di più
Ai posteri la dolce sentenza.

D

giovedì 1 marzo 2018

La mia piccola biblioteca 3

Andiamo avanti, perchè no. Il tempo per leggere semplicemente non esiste più, si è sbriciolato, per cui prevedo che queste raccolte di recensioni saranno sempre meno frequenti. Ma mi diverto, per cui, come si diceva, andiamo avanti, sempre nel segno della più totale variabilità e incoerenza di stili e autori che già avevano caratterizzato la prima e la seconda raccolta di recensioni Ho anche notato che sto dilungandomi sempre di più nelle recensioni stesse. Conoscendomi, era prevedibile. Vuole dire che ci ho preso gusto. Che cosa offre la casa oggi?



Intervista col vampiro, di Anne Rice (trad. di M.Bignardi, 1a ed. 1977, formato Kindle): Sono da sempre un appassionato di letteratura fantastica (e non solo letteratura) e tra tutte le figure che la popolano quelle dei vampiri sono tra le mie favorite. Adoro tutto dei vampiri. Sono cintura nera di vampirismo (e infatti quello pseudodramma stile Cioè/Harmony di Twilight lo evito finché posso).

Per questo motivo non vedevo l'ora di leggere questo libro, popolarissimo, addirittura un caso letterario ai tempi della mia adolescenza (che arrivò pure al cinema, con il blockbuster di Neil Jordan nutrito di un cast stellare che includeva Tom Cruise e Brad Pitt) e a detta dei più il migliore della serie di Ann Rice, che sui vampiri ci ha poi costruito una carriera.
Forse le aspettative erano troppo alte, fatto sta che ne sono rimasto deluso. Ma tanto. La Rice scrive molto bene, intendiamoci, tecnicamente benissimo. Con mestiere sfoggia una prosa simil-ottocentesca, in linea sia col personaggio del vampiro narratore, sia con i romanzi che hanno fatto la storia del genere. Questa maniera di narrare però trascina con sè molti dei propri limiti, risultando a volte (spesso, molto spesso) ridondante e priva di ritmo. Le atmosfere decadenti che la scrittrice evoca continuamente e pesantemente, risultano esasperate, fastidiose e noiose, senza nemmeno la scusante di essere prodotte in un momento storico in cui erano in linea coi gusti dei lettori. Certo, il gioco stilistico è certamente originale per i tempi moderni, ma ora non funziona più e dopo poco, pochissimo, stanca. Molti romanzi tardo-ottocenteschi sanno anche essere affascinati e hanno ancora oggi una loro maniera di coinvolgere il lettore. Forse perchè non del tutto spontaneo, ma giocoforza risultato di un processo di creatività studiato, questo invece non ce la fa.


Altro punto importante, che si interseca a doppio filo con il gioco di atmosfere e scrittura: un libro del genere è ovvio che sia permeato di violenza, è quello che i lettori si aspettano e che il genere richiede. Nulla di male, al contrario. Garantisco che io non sono assolutamente refrattario o insofferente alla stessa (da vecchio cultore di film splatter estremi, ad esempio. e non aggiungo altro..), eppure a lunghi tratti la violenza in questo libro è di troppo, ma semplicemente perché "sbagliata", "malata"... Non porta con sé quella sorta di eccitazione, brutta o bella che sia, che è il motivo per cui agli amanti del genere risulta accattivante e li intrattiene, avviluppandoli nella lettura. Non so se in maniera voluta o meno, ma la scrittrice costruisce situazioni violente  e pseudo-orrorifiche (ma nemmeno troppo, ho letto ben di peggio) che risultano semplicemente tristi e amare, che causano malessere interiore, tristezza, senza assolutamente emozionare o coinvolgere.


In ultimo, la maniera stessa in cui è il libro è costruito, e cioè l'intervista che non è un intervista ma un monologo fiume, dà la stura a lunghi momenti di instrospezione estrema e continua, ripetuta e asfissiante, aggravata come detto dalla prosa pesante e decadente. Quando la micronarrazione di un episodio potenzialmente coinvolgente raggiunge il suo apice, ecco che lì si interrompe per sviscerare i sentimenti del suo narratore, dilungandosi in maniera asfissiante, rovinando così il climax costruito.

Il libro non è tutto così, ovviamente. Qua e là, in maniera maggiore con lo scorrere delle pagine, un po' si riprende, e vi si trovano sparsi momenti anche notevoli, serrati, brillanti e molto piacevoli da leggere. Peccato, veramente peccato, che ne vengano soffocati da tutto il resto. Non lo affosso totalmente, qualche emozione e qualche bella pagina me l'ha regalata, ma cavolo che faticata!




Uomini e no, di Elio Vittorini (1a ed. 1946, letto in una vecchia copia della collezione Oscar Mondadori di mio padre di cui sono gelosissimo): uno dei libri più celebrati sul periodo della seconda guerra mondiale e sulla resistenza scritto uno degli autori più celebrati della letteratura italiana. L'ho preso in mano dopo aver visto una trasmissione televisiva su Rai 5 che ne parlava. In questa trasmissione, nonostante uno scrittore avesse portato argomenti a sua difesa, i vari intervistati lo hanno pesantemente affossato, giustificandone la fama con la felice scelta del momento in cui è uscito (subito dopo la fine della guerra) e la "sponsorizzazione" politica. E a me, da bravo bastian contrario, è venuta subito voglia di leggerlo.

Devo dire che dopo le prime (poche) pagine, mi sono chiesto perché lo avessi fatto, visto che vi ritrovavo tutti gli aspetti negativi dei quali ero stato avvisato e sui quali concordavo in pieno. La prosa risulta artificiosa, probabilmente furba, che strizza l'occhio alle letterature in quegli anni in fermento degli altri paesi ma senza possederne l'originalità, e che sembra voler stupire a tutti costi. In questo senso il ruolo di innovatore della letteratura italiana di Vittorini ne viene notevolmente sminuito. Un libro che si propone con intenti quasi documentaristici ma che d'altro canto risulta poco limpido (verosimile, ma non vero) nella sua scrittura. Con voli pindarici, di immaginazione e di stile, forzatamente astratti e difficili da seguire, flashback confusi e irreali. Con risultati ben al di sotto dei supposti intenti.

Eppure...

Eppure sono contento di essere andato avanti nella lettura. Se la sperimentazione non gli viene così bene, beh, c'è la storia. E la storia è tosta, semplice e bella. Sì, la vicenda d'amore che fa sottofondo alla guerra è un cliché dei più ovvi e banali, finto e hollywoodiano anche per l'epoca, e nei momenti in cui è di questa che si parla, è proprio lì che le descrizioni e i commenti diventano forzosi, i dialoghi così irrealmente pseudopoetici da sfiorare, varie volte, il ridicolo. Ma la storia rimane potente. I personaggi sono forti e maliconici, sanno che  la vittoria è alle porte ma sono tristi per tutto quello che hanno subito e stanno subendo. E non si fermano, continuano a distruggere, a morire e a far morire. Gli orrori sono vivi, e descritti in maniera lucida ma leggera, a colori vivaci e intensi ma rispettosamente. È chiaro che quelle più che descrizioni, sono testimonianze, fotografie mentali. E forse le pagine degli strampalati dialoghi d'amore servono anche a contraltare e contrastare la forza della brutalità di quei giorni, in un tentativo di ricerca di equilibro (non che questo le giustifichi, visto il risultato, ma le può spiegare).

Inoltre, un paio di pagine in particolare delle riflessioni di Vittorini sono potenti, laceranti, e applicabili facilmente anche ai giorni nostri. E tramite il personaggio meno sospettabile di tutti, un cane, la domanda esplode in tutta la sua ferocia ed ci si accorge che é l'unica cosa che conta, che ha sempre contato, lo spunto che dà il titolo al libro: Che cos'è un uomo? Che cosa non lo è? Fino a che punto possiamo decidere di esserlo?

Se si è in grado di andarne al cuore, semplicemente, ignorando gli orpelli e gli artifizi, un libro che può pure non entusiasmare, ma che di sicuro lascia il segno.




Il tempo dei maghi (Rinascimento e modernità) di Paolo Rossi, (1a ed. 2006, formato Kindle): Ci si può avvicinare a un libro per i motivi più disparati. Questa volta per me la ragione è stata  particolare. Ho iniziato a leggere questo bel tomo di 379 pagine semplicemente perchè irresistibilmente attratto dal titolo, nulla più. Non sapendo tra l'altro (data la mia ignoranza in materia) che l'autore fosse uno dei più importanti storici e filosofi della scienza contemporanei. Durante la lettura me ne sono reso conto abbastanza presto, a dire il vero. Il testo ripercorre criticamente la storia che ha portato alla nascita della scienza e del pensiero scientifico, alla formazione dell'accezione che diamo oggi al termine. Il suo distacco graduale, per nulla semplice e scontato, dalla magia naturale e dall'alchimia. Rossi ne descrive gli antefatti, a partire dai tempi remoti dei pensatori ermetici e neoplatonici e si sofferma a lungo analizzando il cuore di questo processo, localizzandone i momenti chiave, descrivendone evoluzioni e involuzioni nel Rinascimento sino a metà '600, per concludere illustrandone il lascito all' età moderna. Un bel ripassone di quanto poco e malamente studiato al liceo (ma, devo dire, grazie alla mia iniziativa personale in maniera un po' più seria anche in un esame facoltativo universitario), con notevoli approfondimenti e elaborazioni interessanti. In aggiunta, ed è la caratteristica di questo testo che un curiosone come me non poteva non apprezzare, è presente nel libro una notevole aneddotistica a corredo delle lezioni, che si rivela preziosa e intrigante, e che mi ha aperto un sacco di caselline con punti di domanda nella mente impreparata, dandomi vari spunti per divagazioni di studio e addirittura qualche ideuzza di scrittura. A un' ora di lettura ne veniva quasi sempre affiancata un'altra di ricerche in rete.
(Una per tutte: che Newton fosse un appassionato studioso di alchimia, tanto da descrivere i suoi lavori nel campo della fisica come distrazioni da quello che considerava il suo impegno principale, non lo ricordavo proprio, se mai l'ho saputo. E così via.)
L'obiettivo è sempre quello di di evidenziare quel lento e contrastato cambio di paradigma che ha sancito la fine della "magia" come scienza reale e che ha portato al consolidarsi del pensiero scientifico moderno.

Rossi illustra efficacemente le sue idee, da insegnante e accademico, con citazioni dotte e sempre opportune, con la confidenza evidente dello studioso affermato (questo è uno dei suoi ultimi testi pubblicati).

Si realizza subito come l'autore, approfittando probabilmente della posizione raggiunta e della veneranda età, non esiti a togliersi più di un sassolino accademico dalla scarpa, facendo elegantemente a pezzi alcuni suoi colleghi. Questa cosa a dire il vero non dovrebbe costituire ragione di plauso, ma lavorando in ambito accademico non ho potuto che gustarmelo divertito.

In particolare Rossi se la prende con Giordano Bruno. Cioè, non proprio con lui ovviamente, ma con la lettura che vari altri studiosi del filosofo fanno del suo pensiero, sovrastimandone, secondo Rossi, i meriti in termini di rivoluzionario e innovatore della mentalità scientifica. La figura di Bruno, cui Rossi dedica una sostanziosa porzione del libro, ne esce notevolmente ridimensionata in questo senso. Io non sono un esperto, né uno studioso della materia, e le mie conoscenze nell'ambito sono quelle di base, per cui gli è stato probabilmente molto facile convincermi, ma l'autore porta argomenti validi a sostegno della propria teoria, supportati da citazioni e testi originali difficilmente contestabili.

Al contrario, viene data rilevanza al contributo alla creazione del concetto moderno di scienza dato da altri pensatori, Francis Bacon in primis, nonché illustrata l'inaspettata influenza che personaggi minori hanno avuto nella rottura di dogmi consolidati, come Francesco Patrizi che con le sue critiche all'immobilità del pensiero copernicano, è stato tra i prima a liberare il campo all'avvento della nuova concezione del sistema solare di Keplero.

Insomma un libro che mi sono goduto, che mi ha coinvolto in riflessioni appassionate, nonostante lo abbia letto in un'estate fisicamente faticosa, riflessioni per me (non avvezzo a questo tipo di ragionamenti) più che sufficientemente impegnative.

Una lettura valida sia per chi è appassionato di scienza e vuole aggiungere una dimensione diversa alla propria conoscenza rispetto al consueto bagaglio tecnico, sia per chi la storia della filosofia la padroneggia meglio, ma vuole approfondirne l'evoluzione specifica in ambito scientifico.



Il colore della magia e La luce fantastica di Terry Pratchett, (trad. di N. Callori, 1 ed. 1989 e 1991, Kindle). E vabbé. Qui si sfonda una porta aperta. Parlo dei due libri insieme perché li ho divorati uno di seguito all'altro, e visto che il secondo riparte nel punto esatto in cui il primo si era concluso, io li ho vissuti come un unico librone. I primi due libri del Ciclo di Scuotivento, un caposaldo del mondo fantastico creato dall'autore-culto Terry Pratchett. Ho girato attorno a Pratchett per anni, senza mai cogliere l'occasione per leggerlo, anzi per qualche strana coincidenza la sua enorme e celeberrima creazione letteraria mi era pressoché totalmente ignota: non mi erano arrivate recensioni, informazioni, nulla perché ne fossi incuriosito, in tutti questi anni. Poi è capitato, ho afferrato il nome che mi passava sotto il naso e ho cominciato.

Per i pochissimi che come me ne ignoravano le caratteristiche, i romanzi dell'universo creato da Pratchett sono esilaranti storie di stampo fantasy, dove l'autore, giocando con i cliché del genere, sovvertendoli e spesso ridicolizzandoli, dà sfoggio di un incredibile fantasia, e spiazzando continuamente il lettore lo trascina con sé, appassionandolo alle avventure dei suoi eroi.

I personaggi dei suoi romanzi sono legati tra loro, e spesso quella che è una figura di secondo piano in una storia, che appare brevemente e come poco più di una comparsa, diventa l'eroe di un altro libro, dove è la sua di storia sulla quale l'autore si concentra. Pratchett non è l'unico ad aver usato questa tecnica, ma è l'unico (a quanto ne so) ad averci costruito un intero universo narrativo, sparso per decine di libri, storie brevi e racconti.
Qui si segue il mago Scuotivento, dalla leggendaria inettitudine, sballottato da un'avventura all'altra contro la propria volontà, eppure fortunatissimo nel cavarsela sempre , per il grande cruccio di Morte, che non riesce a catturarlo. Un perdente nato, con caratteristiche diametralmente opposte all'eroe, ma che è al tempo stesso distante anni luce dall'antieroe hollywoodiano e maledetto. Scuotivento vuole semplicemente tornarsene a casa, e fuggire a gambe levate quando c'è pericolo in vista, ma non ci riesce. Gliene capitano di tutti i colori, finisce in situaizoni di estremo pericolo, ma si salva, sempre, per un pelo. E seguendo lui incontriamo una serie soprendente di personaggi, uno più bizzarro e strampalato dell'altro, che scorrazzano su e giù per un mondo ancora più strano e incredibile. Il sogno dei terrapiattisti, un pianeta bidimensionale, Mondodisco, appunto, un piatto che se ne sta appoggiato sul dorso di quattro elefanti, che a loro volta sono appoggiati sul guscio di una gigantesca tartaruga che vola placidamente per lo spazio buio.



Pratchett gioca, scherza, non si prende sul serio, e per questo motivo può fare quello che gli pare, sovvertire non solo le regole del genere ma anche e soprattutto quelle della scrittura. Lo fa abilmente, tenendosi l'attenzione del lettore, che accetta di essere sballottato qua e là, abbandonato e poi ripreso,  catapultato nel tempo, lasciato nel nulla senza informazioni, proprio come i personaggi delle sue storie. Al tempo stesso però, come tutti i bravi umoristi, lancia più di un messaggio sociologico (questo aspetto della sua narrativa mi dicono verrà sempre più rafforzato nei libri seguenti). Una nota sulla traduzione, che appare non molto curata, con sviste evidenti e scelte questionabili (leggo su internet che i fan dello scrittore la detestano). Il fatto che il primo  romanzo fosse stato pubblicato per la prima volta nella collana Urania di Mondadori, che sfornava a catena fantascienza da consumo, potrebbe forse esserne la spiegazione.

Insomma, mi sono divertito, e o deciso di andare a fondo e leggere tutti i libri della saga del mondo disco. Quanti sono? Appena 41.