Ne sono successe di tutti i colori in questo periodo. Giornate buffe, strane ricorrenze, novità.
Purtroppo ci siamo allontanati un po' dal blog e non abbiamo aggiunto nuovi post come invece avremmo voluto e come eravamo soliti fare per descrivere la nostra vita in Svezia.
Ma l'evento principale è di sicuro che siamo andati incontro a un ennesimo cambiamento. In breve, ho terminato il vecchio contratto, quello che per la legge svedese doveva obbligatoriamente essere l'ultimo come Post-Doc e ho iniziato non uno, bensì due nuovi lavori. Nella pratica quello che faccio ora non si distanzia poi molto da quello che facevo prima. Ma sotto altri punti di vista le differenze ci sono, eccome.
Prima di tutto la casa. Giusi in questo momento è in Italia, non solo per le vacanze di Pasqua, ma perché ha letteramente smontato l'appartamento a Bologna, venduto il vendibile, traslocato il traslocabile, dipinto il dipingibile.
Basta.
Nessuna più "connessione" con l'Italia. Ora è diventato solo il posto per andare a trovare parenti e amici che ci vivono.
Noi siamo a Stoccolma.
Può sembrare un cambiamento da poco, ma non lo è. Disfarsi di mobili e soprammobili scelti con cura per durare a lungo termine è stata un'operazione come previsto dolorosa.
Noi siamo a Stoccolma.
Può sembrare un cambiamento da poco, ma non lo è. Disfarsi di mobili e soprammobili scelti con cura per durare a lungo termine è stata un'operazione come previsto dolorosa.
Significa anche staccarsi ancora un po' di più dai genitori, dalla famiglia, dagli amici. Un prezzo pagato a cuore non leggero, e con cui diventa più difficile convivere ogni giorno che passa. Ma una scelta obbligata, per poter sopravvivere. Via dal paese che amo, e che ora anche odio per avermi costretto ad abbandonarlo.
Sì, gente. Siamo noi, trentenni, quarantenni. Ci siamo fatti il mazzo per studiare e/o crearci competenze, siamo arrivati alla vita, quella vera, carichi dei nostri sogni, pronti a buttare il cuore oltre l'ostacolo e a fare di tutto per realizzarli. Ma il cuore ci è stato ributtato indietro. Dalla palizzata ci è stato detto che se volevamo potevamo entrare, ma i nostri sogni dovevamo lasciarli fuori.
Sì, gente. Siamo noi, trentenni, quarantenni. Ci siamo fatti il mazzo per studiare e/o crearci competenze, siamo arrivati alla vita, quella vera, carichi dei nostri sogni, pronti a buttare il cuore oltre l'ostacolo e a fare di tutto per realizzarli. Ma il cuore ci è stato ributtato indietro. Dalla palizzata ci è stato detto che se volevamo potevamo entrare, ma i nostri sogni dovevamo lasciarli fuori.
Siamo noi, con la nostra valigia di cartone lucida lucida, abbonati alle linee low-cost, noi che abbiamo mollato tutto solo per poter alzarci la mattina, guardare dalla finestra e poter respirare.
E il prezzo di quel respiro vale tutto l'oro del mondo, vale le lacrime di rabbia nel non poter vedere crescere la propria nipotina, la frustrazione di non poter fare due risate a tavola col proprio padre ed essere seppellito di cibo dalla propria madre, vale mille altre cose ancora.
È il respiro, lento e triste, di noi nuovi emigranti.
Cena a casa di Mauro, qualche giorno fa